XV

[…segue] Calia non aveva il tempo di assaporare la ritrovata capacità di sentire i suoni. Ramon era in pericolo, e lei non poteva rimanere là, sotto una coperta che non avrebbe potuto scaldarle il cuore gelato. Eppure lo aveva promesso. Lo avrebbe dovuto aspettare in casa. Ma l’impotenza cui normalmente si sentiva relegata, vista la sordità ed il mutismo di cui era vittima, perdeva consistenza. Una delle barre che componevano la sua gabbia naturale era saltata con il ritrovato udito, e Calia poteva evitare di costringersi al rispetto di una promessa fatta quando era ancora del tutto schiacciata dall’isolamento che la avvolse in quella notte maledetta del suo dodicesimo compleanno. In quel momento poteva udire i suoni, e ritornava completamente nella realtà, vera solo se la propria percezione la rende tale. Ritornava in essa accompagnata dall’urlo di dolore e disperazione del suo unico amico, e non poteva più rimanere in attesa. Decise di aspettare finché la Luna avesse compiuto il suo mezzo percorso, nel punto più alto del cielo; allora, se Ramon non avesse fatto ritorno, con la piena luce di quella notte di rinascita, gli avrebbe portato il suo aiuto al pozzo.

Ramon, in fondo a quel cunicolo nella terra, asciugò le lacrime sentendosi vergognosamente piccolo. Tutta la sua adolescenza era trascorsa con il peso della colpa e con il desiderio di potersi redimere agli occhi di sé stesso, salvando Calia da un destino che poteva ogni giorno distruggerla senza rimorso. In quel momento era in mezzo a quel destino e, in grado o meno di poterlo cambiare, se avesse rinunciato senza combattere fino a quando il suo corpo fosse crollato a terra, avrebbe vanificato il motore di tutta la sua breve vita. Immerso nell’acqua, tentò di raccogliere le idee. La mappa avvolta nella pelle doveva essere ancora lì e, come il suo coraggio, attendeva di essere ritrovata. Si domandò se Calia, durante quegli anni, la avesse pescata mentre attingeva l’acqua. No, gliene avrebbe parlato; così cominciò il ciclo di immersioni alla ricerca del percorso sulla carta da dodici anni sepolta nell’acqua. Il cinghiale, metri più in alto, era in impaziente attesa, sbuffando la malefica rabbia dal naso affinato alla ricerca di un indizio olfattivo della morte di Ramon, che a sua volta sentiva quel fiato distintamente in un cupo gioco di echi. Ci volle del tempo, mentre la luna saliva nel cielo, perché Ramon riemergesse con un lembo di pelle in mano, dopo così tanti tentativi che poteva essere passata una vita intera. Ma per Ramon il tempo aveva smesso di scorrere: si sentiva come in un incantesimo, immerso in un sogno in cui compiva azioni dall’esterno. Si ritrovò a chiedersi, durante una emersione per ricaricare aria, se fosse tutto vero, o se si trovava ancora nel suo letto, ascoltando una favola raccontata dalla madre prima di addormentarsi. Non poteva davvero trovarsi in fondo ad un pozzo, con una misera riserva di energia, ed un cinghiale che, seppure fosse riuscito ad uscire da lì, lo avrebbe sbranato in un attimo. Ciò che lo convinse della consistenza di quell’incubo fu il suo polso. Gli doleva in modo infernale, era gonfio e livido, e ad ogni immersione opponeva una resistenza viva alla sua attività di ripescaggio. Al suo confronto il dolore alla gamba scemava fino quasi a scomparire. Infine, ansimante ma con una gioia che cominciava ad asciugarlo dall’interno, Ramon trovò la mappa. I muscoli delle braccia stavano smettendo di compiere il loro dovere, rendendogli sempre più difficile il galleggiamento in quell’arma liquida. Ancora poco tempo e non sarebbe stato più in grado di tenere il naso fuori dall’acqua. Non gli era possibile neanche pensare di arrampicarsi e, sentendo le zampe del mostro in attesa sopra di lui, cominciava a perdere nuovamente ogni certezza faticosamente ritrovata. Poteva vedere la luna nel suo punto più alto, incorniciata dal cerchio della bocca del pozzo, come un occhio languido che osservasse la sua scomparsa da un telescopio. Si chiese se dovesse implorare pietà a quella bianca regina della notte.

Calia guardò quella stessa altezzosa regina lì nel cielo e, senza chiederle nulla, scese le scale, prese il fucile e lo caricò. Chiudendo gli occhi per assaporare il suono che di nuovo entrava in lei attraverso le sue orecchie risanate, sentendo la notte, il suo respiro, l’erba in attesa e il cupo rombo del bosco, sentendo l’impaziente poggiarsi delle zampe del cinghiale, Calia uscì dalla casa per salvare il suo amico Ramon. [continua…]

 

© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati