XVIII

[…segue] Arrivò. Mentre Calia freneticamente prendeva tutto ciò che l’avrebbe accompagnata nel suo viaggio verso il bosco, ed il sorriso del cambiamento le accarezzava il volto più maturo dei suoi 24 anni, e Ramon teneva in mano il simbolo di tutto ciò che avevano vissuto e continuavano a vivere, l’incrocio sinuoso di due curve di vetro; mentre la vita di entrambi si fletteva sotto il peso dell’inevitabilità, il Vortice della profezia, ciò che avrebbe spazzato via l’intera comunità se questa avesse deciso di sfidare il Male unita, la natura del Male che manifestava il suo controllo su quel lembo di terra e forse sul pianeta intero, il Vortice in grado di inghiottire tutto, si era svegliato dal letargo della promessa e della minaccia di dodici anni prima, ed ora sopraggiungeva, avanzava, copriva.

La casa iniziò a tremare, gli oggetti caddero, dal camino crollarono pezzi di pietra e la fuliggine sospirò fino a coprire ogni elemento di quell’evento. Mentre le assi del pavimento si alzavano pericolosamente come lame dal terreno, e la casa sembrava implodere discendendo dentro sé stessa, Calia si affacciò spaventata dal piano superiore, ed in quel momento la scala crollò. Aveva il pugnale in mano, il fucile ed una borsa, pronta per il suo destino, e guardava Ramon chiedendo un aiuto che sembrava impossibile dare. Non aveva modo di scendere dal piano superiore. Crollò una parte del tetto e Ramon fu costretto ad uscire dalla casa evitando per un istante la morte. Incalzato dagli eventi e senza la capacità di far fronte alla velocità della morte che li raggiungeva, rimase fuori dalla casa vedendone crollare metà, e ritrovando Calia immobile nella parte che si teneva ancora su, circondata di fronte a sé dalla sola aria di quella notte nera e dietro dalla parete posteriore della casa, che sembrava attaccata come loro ad una vita fragile. Ramon si costrinse a prendere una decisione, ed urlò:

“Calia, la finestra dietro di te!”

Nessuno dei due ebbe il tempo di ragionare oltre, la metà della casa che per poco era riuscita a resistere si inabissò trascinata dalla furia del vortice che avvolgeva tutto, e Calia saltò dalla finestra. Cadde con un tonfo coperto dal frastuono del vento sovrannaturale che livellava ogni protuberanza superiore al suolo di quella terra maledetta. Un urlo si disegnò sulla sua bocca muta, ma Calia schivò la morte che continuava a scagliare colpi. Sentiva di perdere i sensi, o meglio, desiderava perderli, ma non cedette, si alzò a fatica, dolorante ma sana, e vide Ramon correre zoppicando verso di lei. Intorno a loro, intorno allo scheletro della casa, intorno al villaggio fantasma, su tutta l’area fino alla foresta, il vortice immenso interrompeva l’esistenza di ogni cosa vivente o inanimata, scaraventando i resti delle case del villaggio, distruggendo il pozzo, innalzando e rigettando a terra legno e pietre, speranza e coraggio. I due amici erano ancora vivi, ma ogni istante li avvicinava alla dispersione nella Voragine che il Vortice stava scavando nel terreno terrorizzato.

“Il pugnale, dov’è!”

Calia non lo sapeva. Nella caduta le era sfuggito di mano, ed ora non era assolutamente possibile riprenderlo: dovevano fuggire all’istante.

“Non possiamo cercarlo, dobbiamo andare verso il bos…”

In quel momento la mano del vortice lo sollevò in aria e lo rilasciò a qualche metro di distanza. Calia cacciò dentro la paura immobilizzatrice e corse senza altro pensiero che quello di tendere ogni nervo e muscolo che possedeva per accelerare l’allontanamento dalla terra in cui era relegata da dodici anni; corse sentendo il sangue inacidirsi, raggiunse Ramon, lo aiutò a sollevarsi e lo trascinò verso la foresta, l’unica direzione che offriva loro un riparo. Un lungo tragitto servì a Ramon per ritrovare di nuovo un equilibrio ed un’attenzione; poi si accostò a Calia ed insieme corsero al massimo di ciò che il loro corpo consentiva, e forse qualcosa di più. Il vortice aveva aperto la voragine nel terreno, e la casa di Calia si inabissava come il relitto di una nave fedele; il pozzo era scomparso, ed il cielo aveva nuvole nere che rispecchiavano ciò che accadeva in terra ruotando a formare un vortice-specchio scuro che sembrava concentrarsi in una pupilla che fissava attenta il prodigio. Tutto l’enorme spazio che conteneva il villaggio fantasma accompagnandolo fino alle montagne, l’erba e l’aria, venivano inghiottiti nell’immenso baratro che si apriva nel terreno, la Voragine che il Male aveva previsto, mai giunta ed in attesa di un cambiamento per chiudere la punizione di ogni elemento in quella terra nefasta. In una collaborazione perfetta, terra e cielo si univano per nascondere ogni esistenza dentro la loro potenza. Ramon e Calia correvano ansimando e calpestando la terra che pochi istanti dopo scompariva nel nulla. Il rumore era assordante, e Calia pensò che avere riacquistato l’udito fosse un motivo per temere di più ciò che accadeva prima della sua distruzione, il suono apocalittico di qualcosa che non poteva sconfiggere; le gambe le facevano male e non riusciva più a controllarne l’alternarsi, si appoggiò a Ramon per non cadere e trovò in lui una solida presenza, nonostante la gamba ferita. Riuscì a non cadere, mentre Ramon non aveva pensieri né timori: si sentiva vuoto di ogni sentimento, ed aspettava indifferentemente la morte o la salvezza mentre il corpo, indipendente dalla sua volontà, lo trasportava verso il bosco. Quando raggiunsero il primo albero della loro meta percorsero poco spazio delirando di dolore e scoppiando di tensione, e crollarono aspettando esausti la morte dietro di loro. Non potevano più fare altro. A terra ansimanti cercavano di non soccombere all’asfissia, mentre il rumore aveva riempito ogni spazio ed ogni visione delle loro menti. Calia fu la prima che riuscì ad aprire gli occhi e, voltandosi, venne travolta dall’immagine che le sue retine ricevettero: non esisteva più nulla. Tutto ciò che aveva avuto davanti agli occhi in quei dodici anni di solitudine, ogni cunetta, ogni residuo delle case, ogni parte di erba incolta e dall’aspetto folle, ogni fuscello, ogni pezzetto della civiltà che vi aveva abitato, ogni ricordo era svanito durante una corsa disperata. Tutta la vasta pianura fino alle montagne era ora terra nera, esclusivamente scuro vagare di occhi tristi. I suoi e quelli di Ramon, che ora guardavano insieme a lei la devastazione e la scomparsa di un angolo di mondo. Non era misurabile ma in qualche modo era paragonabile alla devastazione che avvolgeva la loro anima. In quel momento sembrava non ci fosse più alcun senso di andare avanti nella loro voglia di vita.

Grandi istanti di riflessione avvolsero infine le loro prospettive corrose dall’evento: tutto ciò era il segnale che qualcosa poteva cambiare. Il passato era stato cancellato via dal cuore, anche se nella mente continuava a proiettare la desolazione che già prima di quel momento verniciava quella terra. Ciò che Calia desiderava più di ogni elemento al mondo, la libertà, avanzava nella probabilità dello sradicamento del passato. Se una strada portava alla realizzazione del suo desiderio quella era stata la prima tappa e, sebbene catastrofica, la lanciava prepotentemente verso una risoluzione. Qualunque questa fosse stata, almeno il tentativo di una vita libera era stata fatto. Se ora il loro cuore era svuotato di quell’angoscia, poteva iniziare a sopportarne un’altra, però più vicina al loro scopo, diversa. La penetrazione del nuovo terrore aveva un’intensità maggiore e Calia e Ramon, fissando gli occhi su ciò che era stato il passato, ne accettavano la nuova presenza. Di nuovo Calia percepì sé stessa come la rappresentante di tutta l’umanità in lotta contro un potere che guardava e teneva sotto controllo tutti loro, uomini donne e bambini.

Il vortice e la voragine avevano compiuto la loro funzione ed erano scomparsi senza intaccare la foresta, il luogo da cui provenivano. Se nel cielo poco prima una pupilla fissava lancinante la scena, ora un grigio uniforme ne copriva tutta la superficie. Ramon e Calia, pronti per addentrarsi nella foresta, sapevano che in futuro avrebbero visto ben poco di quel cielo nemico. [continua…]

 

© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati