[…segue] La visione era stata chiara, improvvisa e decisiva. A Ramon dava la sensazione di un messaggio dal futuro, inviato da sé stesso prima di morire per mano della sua amica più cara. Ma non poteva crederci. Non c’era nessun motivo per cui Calia avrebbe dovuto fare una cosa così orribile, dopo quello che lui aveva fatto per lei. Eppure Ramon sapeva benissimo che nulla era più indecifrabile, più imprevedibile di quei momenti, e in effetti di quasi tutta la loro vita. Dal momento in cui la comunità era stata vittima delle morti improvvise e misteriose tutta la successione di eventi aveva permesso di arrivare ad una sola conclusione: ogni legge, ogni consuetudine, ogni speranza che un uomo poteva coltivare, si disfaceva a contatto con una forza superiore, la natura di una realtà che governava quell’esistenza che ogni individuo considerava propria, e in cui invece era un semplice elemento governato.
Il simbolo continuava a crescere di luce propria, mentre dal ritorno di Ramon dalla visione non era cambiato nulla: la terza tappa era di fronte a loro, e gli appunti della mappa la dicevano falsa, un salto verso il buio. Calia continuava a respirare rumorosamente, mentre alternava il suo sguardo terrorizzato tra il simbolo di vetro lucente nelle mani di Ramon e l’albero del male che sembrava attenderli nonostante le loro resistenze. Ramon tentò di domare l’angoscia della visione, rimandando ad un “dopo” indefinito la decisione se essa fosse una seduzione malvagia o il probabile futuro: Calia sua carnefice, era il massimo del dolore che poteva raggiungere con la sua mente. Cercando di prendere d’anticipo la sensazione di immediato pericolo che il simbolo sembrava alimentargli dentro con il suo continuo aumento di lucentezza, Ramon prese per mano Calia dimenticando ogni dubbio, e cominciò a correre verso sinistra allontanandosi il più possibile dall’albero che doveva essere Morte. La gamba ferita gli ricordò subito il recente sfinimento e dopo pochi metri fu Calia che prese a guidarlo portandosi avanti, mentre sempre più distinto dietro di loro un rumore di passi rapidi in corsa li inseguiva. Entrambi lo sentirono, e si voltarono indietro senza fermarsi, con lo sguardo che tradiva una remissiva accettazione della fine. Non videro nessuno, mentre il tocco dei piedi sul terreno continuava a diventare sempre più chiaro e rapido alle loro orecchie. Calia pensò a come, da quando aveva riottenuto l’udito, questo fosse diventato il senso predominante in quei momenti di pericolo fatto di suoni e grida che presagivano invece di mostrare. Ancora uno spazio coperto dalla loro corsa cieca e di nuovo insieme si voltarono a cercare ciò che doveva quasi essergli addosso tanto era chiara e netta la sua presenza. Questa volta videro. Ramon venne colpito dalla sorpresa prima della paura.
“Non è possibile!”
Calia scappava ora insieme a Ramon da un ragazzo dalla straordinaria prestanza e velocità, con un viso limpido ed effeminato e occhi di demonio, che sembravano brillare di un rosso acceso. La sua corsa non aveva nulla di naturale, sembrava avesse la forza di un cervo, schivava ogni ostacolo con salti prodigiosi e correva come un soffio di vento. Calia fu raggiunta dal terrore pochi istanti prima che il ragazzo fosse loro addosso. Poi, improvvisamente, a qualche passo da loro, il ragazzo demone schizzò via sulla destra, inoltrandosi nella foresta e scomparendo nel macabro verde. I suoi occhi di male, però, rimasero fissi sui due ragazzi. Calia si arrestò fermando Ramon che, stremato e con la gamba perdente sangue, cadde a terra. Calia non riusciva a smettere di guardarsi intorno, sentendo immediato l’assalto del ragazzo demonio. Poggiava un istante gli occhi su ogni zona della foresta, ma tutto sembrava tranquillo, la sovrannaturale calma del Male: nessun suono, non un soffio di vento, nessun rumore di passi. Tutto taceva di nuovo. Si avvicinò al suo amico a terra, appoggiato quasi senza sensi, con gli occhi chiusi, ad una grossa radice. Non riusciva a smettere di tremare cercando l’aria che la corsa gli aveva tolto dai polmoni. Nella mano, ancora stretto come un appiglio fedele, il simbolo di vetro non brillava più. Calia accarezzò Ramon e gli prese la mano che conteneva il simbolo, portandola lentamente alla sua bocca. Il tocco delle sue labbra sulle nocche bianche fece tornare Ramon verso una lenta ripresa. Aprì gli occhi e guardò senza forze Calia. Con estrema fatica riuscì a parlare.
“Era… era… Garco. Come è possibile, che ci fa quel mostro qui? Forse i Tre Anziani lo utilizzano come sicario, un portatore di morte. Ma perché è scomparso? Non riesco a capire Calia, non so più cosa fare”
Se Calia avesse potuto parlare, non avrebbe potuto dire nulla. Anche per lei la sensazione di totale sconforto era l’unica certezza. Garco, il ragazzo che aveva ferito Ramon durante la fuga, colui che desiderava la sua morte più di ogni membro della comunità, era piombato su di loro con l’aspetto di demonio fingendo un assalto che si era dissolto un istante prima. Se qualcosa fino a quel momento poteva avere una logica, seppure perversamente innaturale, ora nessuna delle piccole comprensioni che avevano portato Calia e Ramon fino a lì, nel bosco in cui li aspettava la risoluzione della loro lotta contro il male, nessuna comprensione rimaneva in loro a mostrargli almeno un’idea. Il finto attacco di Garco, i due Anziani rimanenti nello stesso bosco dove loro si sentivano sempre più in trappola, il Male che circondava ogni grumo di terra e di aria, i cinghiali vivi nell’aria come scintille svolazzanti di un fuoco nero. Il terrore ed il disorientamento dei due ragazzi non aveva fino a quel momento raggiunto uno stato di così profondo dominio sulle loro anime scurite.
“Il simbolo, Calia…”
Lei lo guardava con l’ansia e la speranza di un appiglio.
“Si illumina quando c’è un pericolo intorno a noi”
Poi, stremato e con la ferita alla gamba di nuovo aperta, svenne. [continua…]
© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati