XXIII

[…segue] Al suo risveglio Ramon era solo. Ricordava confusamente gli istanti prima della sua perdita di sensi. L’attacco di Garco era quanto di più inaspettato il suo spirito avrebbe atteso. Inoltre quello non era il Garco che conosceva, il perfido ragazzo votato al raggiungimento del potere senza mediazione, ma pur sempre umano. L’essere che li aveva quasi sopraffatti aveva le sembianze del ragazzo corrotte da tratti infernali, ed il suo corpo era alterato da abilità soprannaturali, potenza ed agilità enormi. Ed era scomparso prima che la sua furia li abbracciasse. Solo un avvertimento, come se il suo scopo fosse quello di farli schiacciare dall’angoscia per un possibile, vicino, attacco, caldo e rapido come una lama. Come la lama che Calia usava per ucciderlo nella visione che aveva accelerato la discesa del suo spirito verso la disperazione.

Dov’era Calia, che cosa le era successo mentre il suo corpo lo aveva abbandonato a terra? Lo spirito di Ramon che negli anni si immergeva insieme a lui in una costante e straziante inquietudine solcata da terrore, continuava ad addensarsi sempre più nella sfera corrotta dello strazio e Ramon, tremendamente, non sentì in quel nuovo dramma più disperazione della sua vita presa quasi per intero, da quella notte del 13 Febbraio 1876, quando i genitori di Calia scomparvero, la comunità la linciò come fosse una strega, e la notte divenne senza fine. Si rialzò così a fatica da terra, insieme all’angoscia con cui ormai era abituato a vivere, e subito il polso rotto lo riportò in una veglia senza compromessi; la gamba era fasciata nel punto in cui la ferita si era riaperta, e Ramon si accorse di non avere più il simbolo di vetro nella sua mano, né la mappa: gli unici strumenti della sua folle corsa verso un punto che poteva essere di partenza o di arrivo, decretando così la fine o meno della sua vita sommersa dal rimorso. Senza poter scendere più giù nel livello della desolazione, Ramon ragionava lucidamente, e il suo senso di colpa tornò a stringergli il petto sulla possibilità che Calia fosse stata rapita da Garco o dai due anziani, o peggio ancora da qualcosa che viveva nel bosco, la forza verso cui erano diretti, il Male che non aveva altri volti per loro che quelli dei cinghiali che rappresentavano solo una delle Sue infinite facce. Immaginava Calia trascinata via sopra rami, foglie, erba, pietre e terra, mentre un corteo di esseri glorificava la vittoria definitiva sulle loro piccole anime di sfidanti: Calia e Ramon perdevano così la sfida della loro vita, e la vita stessa. Lasciando scomparire la vista intorno a sé nel mattino inoltrato di quel giorno senza aria, Ramon sentiva chiaramente che la possibilità che Calia fosse stata rapita, e con lei i suoi unici due punti di riferimento del loro viaggio, lo sollevava un poco dal peso senza fine della missione che si era costruito addosso: se era destinato a soccombere, che arrivasse subito la fine. Per questa sporca speranza si sentiva bruciare di vergogna. Il sollievo della disfatta correva però sfidando la determinazione ed il coraggio di portare in salvo la sua amica, che del suo piccolo cuore faceva pur sempre gran parte, e le lacrime calde che portava dentro erano proprio la conseguenza di questa sfida, in cui Ramon, ancora ed ancora, si chiedeva se era un piccolo, insignificante individuo, o se avrebbe potuto un giorno vivere o morire con la serenità di aver fatto ciò che il proprio ruolo di uomo richiedeva, aver dunque ricoperto lo scopo che ognuno cerca leggendo nel vento la sua vita passata e futura, e che, una volta letto, contiene la condanna o la gloria di averlo perseguito o meno. Quelle lacrime rimasero dentro di lui, ed esplosero in mille brillanti rivelazioni che ne costituivano una. Ramon capì in quel momento che amava Calia ed amava sé stesso e non sapeva, forse non lo avrebbe mai saputo, chi dei due di più.

Un rumore improvviso dietro di sé ruppe i suoi pensieri e le sue lacrime. Un fruscìo di rami e foglie anticipava l’arrivo di qualcuno, o qualcosa. Il corpo e la mente di Ramon non vollero irrigidirlo nell’attenzione verso il pericolo, e lui aspettava piuttosto la comparsa del nemico con rassegnazione. Il rumore divenne più vicino e chiaro, lo spostamento di alcuni rami fu l’ultimo preavviso prima che quel piccolo mistero divenisse orrore. Subito dopo dal bosco fitto comparve Calia, attenta e impaurita, e sorpresa di vederlo in piedi quanto Ramon di vedere lei come la materializzazione di un attacco immaginato.

“Cosa fai in piedi, la ferita ha ripreso a sanguinare!”

Disse Calia con quegli occhi che dopo anni di mutismo parlavano più chiaramente delle parole. Ramon riprese un po’ di lucidità, e spostò lo sguardo verso la sua gamba ferita, ma non era più momento di riposare ancora. Avevano un percorso da intraprendere e un bosco che cullava sogghignando loro ed il loro terrore. Dovevano rimettersi in marcia.

“Dove sei stata? Stai bene? Credevo ti avessero presa!”

Ramon sentì in quel momento interamente l’ansia per la possibile scomparsa di Calia, e contro il suo egoismo prevalse senza dubbio l’amore che sentiva crescere sempre di più per la sua unica compagna di vita. Se l’avesse persa ne sarebbe morto, lo sentiva chiaramente. Insieme al sentimento di sollievo per non averla persa, e alla gioia momentanea, il senso di rimorso si addormentò. Le andò incontro e l’abbracciò. Calia mimò la sua avventura: a Ramon bastava per capire chiaramente.

Era andata ad esplorare il bosco, portandosi dietro il simbolo che sembrava avvertirli del pericolo, e la mappa che avrebbe dovuto indicarle la prossima tappa, ma che in realtà terminava le indicazioni con il terzo albero del loro tragitto. Ramon la prese per rileggere i suoi stessi appunti e comprendere meglio cosa avrebbero dovuto fare: i ricordi dei tre saggi si interrompevano dopo la terza tappa, e da quel punto in poi Ramon e Calia avrebbero dovuto fare affidamento sulla sensazione che gli alberi con il simbolo nelle radici davano loro: la rabbia e l’odio crescente dentro sé stessi gli avrebbe segnalato una corretta svolta del percorso. Ramon cominciava ad intuire il pericolo di quella condizione di ascolto della propria rabbia. Calia sembrava condividere quel pensiero, perché raccontò che mentre ispezionava il bosco si era imbattuta in un albero con un nastro rosso su uno dei rami, come la seconda tappa del loro viaggio. Un piccolo segno del passato in cui i Tre Saggi calpestarono quel tragitto. Una tappa probabilmente corretta dunque, in prossimità della quale Calia aveva sentito qualcosa oscurarle la coscienza. Mentre i pugni le si stringevano in un nervoso richiamo, di fronte a quell’albero, nella purezza d’acqua di Calia si innervò un liquido scuro e denso, che con sé portava alla sua mente visioni raccapriccianti di persone e luoghi a lei vicini, provocando la sua rabbia, una cattiveria che sapeva di avere ma che mai avrebbe pensato di indirizzare verso quelle immagini per lei care e sacre. Non ebbe il tempo di spiegarsi meglio, né di descrivere quelle immagini macchiate d’odio, perché il terreno prese a tremare e, mentre gli alberi si piegavano per lasciare passare qualcosa nel bosco verde di Male, Calia guardò ansiosa dietro le spalle di Ramon che, voltandosi, vide insieme alla sua amica ed al suo amore un branco di cinghiali emergere dal fitto della vegetazione. Come sempre, nessun rumore sembrava esistere oltre i loro ringhi, i loro sbuffi, e i loro occhi rossi come il sangue, che parevano emettere anche loro rumori mai uditi. Solo il tempo di far arrivare prima interamente l’orrore della loro visione ai due piccoli umani di fronte a loro, poi le bestie malefiche gli si scagliarono contro.

Ramon riuscì solo a dire:

“Il pugnale è andato perduto nel Vortice”

prima che gli animali gli fossero addosso. [continua…]

 

© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati