[…segue] Passarono loro sopra come fossero foglie e rami, rompendo e lacerando al passaggio delle zampe forti e taglienti. Calia sentì vincere tutto quello contro cui aveva lottato, e Ramon ormai non pensava più a nulla, ascoltando il rumore delle ossa che si rompevano e della speranza che era un’eco lontana come una stella. Fu un momento breve ed infinito: il branco passò oltre inoltrandosi nuovamente nel malefico tessuto del bosco. Il rumore passò, e tornò la calma innaturale.
Calia fu la prima a rialzarsi, sentendo uno strano brivido alla base della schiena, lì dove il simbolo si disegnò nell’istante in cui i suoi genitori scomparvero. Non aveva nulla di rotto, ne era certa, e non sentiva dolore né distruzione dentro di sé. Miracolo, protezione, o di nuovo un oscuro piano del Nemico deciso a confondere ogni possibile comprensione: non ebbe modo di pensarci. Ramon sembrava morto. Non si muoveva, aveva la gamba ferita che ristagnava in una pozza di sangue, un braccio piegato innaturalmente, quasi più nessun tessuto a ricoprirlo, graffi e lacerazioni su tutto il corpo. Calia si piegò su di lui alzandogli la testa, cercando di chiamarlo, di capire se quel pezzo di terreno sarebbe stata la sua tomba o no. Ramon rispose.
“Calia… io… non riesco a resistere, sento un dolore così forte da annullarsi dentro di me. Io non posso più andare avanti, io non posso più starti vicino. Così è stato deciso, io devo morire qui. Perdonami Calia, se non sono stato abbastanza forte per arrivare fino in fondo”
Calia urlava con gli occhi il NO che aveva dimenticato da tempo prima che tornasse il suo amico, fissò Ramon con occhi sbarrati come per tirargli fuori dai suoi quella tremenda idea, cercò di portarlo in piedi. Ramon riusciva appena a tenere aperti quegli occhi, trattenendo così dentro di sé la rassegnazione della fine.
“Ti prego, Calia, lasciami qui. Ormai non posso farcela, e se tu non andassi avanti per causa mia vanificheresti tutto quello per cui ho vissuto, la lotta continua per portarti in salvo, per liberarti. Non so se riuscirai, non so se io ti sarò stato d’aiuto, mi basta sapere che tu non mi odi, che non mi vedi solo come uno tra il branco di coloro che ti hanno lasciata morire da sola, che non mi manderesti all’inferno. Calia, perdonami, ho cercato in tutti i modi di mostrarti la strada per una possibile salvezza, ma se il mio sforzo avrà contribuito a regalarti la gioia oppure no io non potrò esserne testimone.”
Ramon socchiuse gli occhi, e le due piccole fessure che divennero fissarono le pupille di Calia, che non riusciva a trattenere le lacrime calde di tormento. L’unica persona ancora in vita che le avesse davvero voluto bene, si stava spegnendo davanti a lei. Non avrebbe avuto mai più nessuno. Doveva mostrargli tutto il suo ringraziamento, tutta la devozione per quel ragazzo che continuava a credersi colpevole di un assurdo destino che aveva sommerso anche lui, il bambino che guardava la sua amica cadere sotto i colpi di altri uomini e donne. Doveva fargli giungere nei suoi ultimi istanti di vita, nel macabro di quel buio verso cui andava, doveva portargli dentro l’assoluta certezza che lei non lo odiava, non lo odiava, non avrebbe odiato nessuno mai meno di lui, perché Calia:
“Ti amo”
Le parole uscirono sonore, leggere come il fiato e potenti come il suono del cuore.
“Ramon, io ti amo”
Ripeté dalla sua bocca, meravigliosamente, incredibilmente, nuovamente viva, da quel lontano anno in cui accadde tutto. Calia otteneva un secondo miracolo, nella morte di quel momento. Gli occhi di Ramon, quasi chiusi, si spalancarono di colpo, come a voler cogliere appieno il suono della sua amica muta, ed immergersi nella frase che riusciva a donargli la gioia insperata. Calia lo fissava con l’amore dichiarato, e Ramon tentò con uno sforzo estremo di risponderle, ma i suoi occhi si chiusero e perse ogni forza prima di riuscire. Calia rimaneva con il suo amico fra le mani, ed aprì ogni suo poro alla disperazione. Poteva nuovamente parlare, e non aveva più nessuno con cui farlo. Chiuse gli occhi e rimase lì, in silenzio, ripensando a tutto ciò che avevano passato in così poco tempo. Dalla speranza di una nuova vita alla morte di quel momento; Calia raccolse gioia, dolore, rabbia, speranza, amore, e li trasformò nell’urlo che aveva accumulato in quei dodici anni, spingendolo fuori con tutta la forza che aveva. La voce sopita si risvegliò nel più cruento dei modi, e l’alto di quel suono puro giunse fino a quel cielo vigliacco, rompendone il cristallo ipocrita. L’interminabile sfogo terminò nell’eco e poi nel precedente nulla, fino a che la stasi di quel luogo malvagio si piegò ad una nuova voce.
“Finalmente ci ha lasciato”
Calia fu colpita da un ago di improvviso terrore. Alzò la testa e vide di fronte a lei il giovane che poco prima li aveva inseguiti con una velocità inumana, in quel bosco che ormai non aveva nulla della realtà conosciuta. [continua…]
© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati