[…segue] Con gli occhi chiusi e la mente perduta dentro di sé, Calia vide la propria rabbia materializzarsi nelle immagini che da tempo occupavano istanti della sua vita, accostate insieme a richiamare una visione che dava un senso nuovo ad ognuna di esse.
Nel villaggio della sua infanzia lei giocava con suo fratello Codi, davanti alla casa che sarebbe diventata la sua prigione. Era una giornata di sole e felicità, ed i suoi genitori lavoravano alle proprie attività. Ramon li raggiungeva per unirsi ai giochi, aveva con sé qualcosa in mano. Quando si avvicinava di più Calia notava che era un serpente, e tentava di allontanare sé stessa e Codi da Ramon. Non era troppo veloce ed il serpente mordeva il suo spaventato fratellino. Subito le sue urla attiravano i loro genitori, che prendevano Codi in braccio portandolo dal dottore della comunità. Calia veniva sgridata tremendamente per non avere badato a suo fratello più piccolo, e Ramon non era più lì per prendersi parte della colpa. Calia rimaneva da sola davanti alla loro casa, mentre tutti seguivano Codi in pericolo di vita. Si inchinava, prendeva un sasso appuntito, e lo stringeva con forza nel suo palmo. Il sangue caldo che le scivolava sul polso e poi a terra la calmava un poco, mentre si sentiva vittima di un attacco ingiusto e meschino.
Riaprendo gli occhi Calia sentiva il cuore colpire con velocità il suo petto di donna, e il sangue fluire rapidissimo in tutto il suo corpo. Provava il desiderio massiccio di colpire qualcosa, sentiva un leggero ma intenso tremore nelle braccia e nelle gambe e con fatica, lentamente, riuscì a domarsi, mentre i suoi pugni si stringevano a contenere l’energia reattiva. Non era chiaro alla sua mente confusa se la visione fosse un ricordo o no, ma sentiva distintamente cosa aveva portato con sé: la sensazione della rabbia che rendeva corretta quella tappa/albero del percorso verso la radura; spaventosa conseguenza, la visione deviava la direzione di quella rabbia verso il suo Ramon, che lei vedeva nell’amore appena riconosciuto insieme al sospetto germinante di una nuova verità che avanzava ogni istante di più. Ad ogni modo sentiva che una sola era la certezza: quell’albero era la sesta tappa.
Il rispetto e l’amore per Ramon passavano per l’unica strada che Calia doveva seguire, e che avrebbe potuto onorare la sua morte, così null’altro interessava a Calia, in quell’istante, che proseguire: il dubbio ed il sospetto dovevano rimanere affondati nel suo cuore ancora in affanno per la visione rabbiosa.
“Lo senti anche tu?”
Garco ruppe il silenzio.
“La tappa è corretta”
Sentenziò Calia. Ma non riuscì a non aggiungere:
“È spaventoso quello che ho sentito”
“Lo sento anche io, Calia: ho visto qualcosa che ha distrutto l’armatura di creta di ogni mia certezza, e mentre mi domandavo se fosse reale quella visione, la rabbia ha cominciato a mordere; ma è l’unico modo per raggiungere ciò per cui siamo rimasti in vita: il nostro destino, verso il Bene o il Male.”
“Proseguiamo”
Calia sentiva l’Ilmud prudere in fondo alla sua schiena, mentre superavano insieme la sesta tappa, e il giorno cominciava a perdersi nel rapido buio di una notte che lei sapeva sarebbe stata così scura da coprire tutto. Pochi passi e Garco la fermò.
“Aspetta, Calia! Questa non è la direzione corretta.”
“Come lo sai?”
“Secondo le indicazioni che mi hanno dato i Tre Anziani dobbiamo seguire il punto in cui il sole va a scomparire. Lì è la Radura.”
“Cos’altro sai che potrebbe esserci utile?”
“Poco: la radura non è facilmente individuabile, perché nascosta da una fitta vegetazione di piante insolite per questo luogo. Ciò che dobbiamo cercare non è con gli occhi che lo troveremo, dobbiamo ascoltare il lamento del terreno per sapere cosa cercare e dove. I Tre Saggi sono stati molto precisi in merito: non fidarsi di ciò che gli occhi vedono, ma prestare molta attenzione agli altri sensi.”
“Sai quanti sono gli alberi da seguire?”
“No, possono cambiare, aumentare, scomparire. Il tentativo dei nastri rossi ha infatti fine con la tappa precedente, quando i Tre hanno compreso che non aveva senso. Ma a quanto sembra le tappe non sono cambiate fino ad ora. Mi sembra di non riscontrare solo un particolare del racconto dei Tre Saggi sul loro percorso verso la radura: l’Ilmud che loro avevano sul corpo si capovolse quando entrarono nella foresta. Non so cosa significasse ma a noi non accade.”
Calia rifletté un istante poi, quasi senza che la sua mente desse l’impulso di parlare disse:
“Credo di sapere perché”
Calia era sorpresa di intuire quella probabile verità. Continuò:
“Loro erano attesi, noi invece siamo respinti.”
“Soltem, si! Credo che tu abbia ragione!”
Calia ebbe un sussulto di inatteso sollievo.
“Come conosci questa esclamazione?! Da bambini la inventammo per avere una parola tutta nostra e differenziarci dai grandi… allora c’eri anche tu?”
Garco, per la prima volta da quando Calia l’aveva incontrato, ebbe un istante, piccolo ma chiaro, di sorpreso cedimento. Calia intuì che Garco si fosse pentito di quella parola, che lasciava intendere qualcosa di più del mistero in cui la sua persona era immersa. Poi Garco fece qualcosa di incredibile per quella ragazza la cui pelle era dura di diffidenza e sospetto: Garco sorrise, e si lasciò andare al piccolo errore i cui era caduto. Una piccola porzione di quella pelle d’acciaio si ruppe e in Calia entrò una sensazione che non avrebbe mai voluto avere per quel giovane senza scrupoli: provò tenerezza per quel gesto così sincero, e subito odiò se stessa e Garco per il cedimento che sentiva di avvicinarla di più a lui.
“Si, Calia. Non avrei voluto che tu lo sapessi ma è uscita senza che ci pensassi: negli anni ho voluto mantenerla tra noi bambini di allora per sentirti un po’ più vicina. È stato il mio piccolo contributo per te. Ne parlai anche con Ramon per proporre ai Tre Saggi di inserirlo tra i nuovi vocaboli della comunità, ma non ricordava più di averlo inventato tutti insieme, e mi accusò di profanare la tua memoria.”
“Non è possibile che Ramon non lo ricordi!”
“Eppure è così, mi dispiace”
“Soltem… soltem…”
Ripeteva Calia come se la loro parola potesse alleviare la ruvida paura.
“Ricordi quando la inventammo, vero?”
Le chiese Garco. Calia lo ricordava:
“Stavamo giocando alle “Verità più vere”. È incredibile come lo ricordi chiaramente ora”
“Si, Calia, io ero lì insieme a voi, e quando toccò a me dire la verità confessai…”
“Che eri innamorato di me! Ora mi ricordo di te! Ma il tuo nome non è Garco!”
Calia ebbe di colpo la mente movimentata da onde di ricordi sempre più precisi che riemergevano dagli abissi del suo cervello rivendicando un posto nella sua memoria da troppo tempo decisa a cancellare il più possibile del male che la comunità le aveva fatto. Ricordò il suo periodo senza pensieri, quello in cui la bambina che era aveva la possibilità di crescere e divertirsi insieme ad altri bambini, quello in cui la sua famiglia era tutto ciò di cui aveva bisogno, quello in cui la comunità era un’estensione di quella famiglia, e in cui il dolore più grande era perdere ai giochi con i suoi amici. In queste semplici sensazioni di un tempo lontanissimo Calia ricordò il ragazzo che ora si faceva chiamare Garco, e che Calia ricordava come il piccolo orfano venuto da lontano, a portare mistero e fragilità in quella comunità dal guscio perfetto e dalla carne marcia. [continua…]
© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati