[…segue] Calia era di fronte ai due cinghiali, emissari del Male, che un istante prima avevano le sembianze di Ramon e Codi, in un gioco di illusioni e confusione che ormai racchiudeva la sua vera sfida. Fu sopraffatta da un senso di sconfitta ed annientamento. Il “no” che uscì leggero dalla sua bocca stanca ed affamata, mentre si abbandonava a quella che immaginava fosse una fine certa, morì rapido come la sua speranza. I due cinghiali cominciarono ad avvicinarsi a lei, senza fretta, con la certezza di tenere la sua piena energia incatenata ai loro occhi. Così era.
Calia rimaneva immobile mentre le due bestie si avvicinavano, con zampe di dolore acquietato. La mente cercò di allontanarsi da quel terrore, pianificando una lenta incursione nel ricordo della sua famiglia scomparsa anni prima: Calia rivedeva Codi e se stessa giocare senza pensieri di fronte alla loro piccola abitazione; vedeva gli occhi sereni e privi di malvagità della comunità osservare i loro giochi con tenerezza, e con sorrisi di protezione che si riflettevano nei grandi, immensi occhi dei suo genitori, Merito e Sondra, nell’amore del loro ruolo e nelle regole della famiglia che facevano sentire Calia protetta; dopo i giochi lo studio, e poi la cena e la preghiera ad un Dio misericordioso; la notte accarezzata da un sonno lieto, leggero, pigro nell’andare via. Un sonno che Calia non ritrovò mai più, e che in quel bosco l’abbandono di quel Dio tanto ringraziato rendeva più pericoloso della realtà stessa; un sonno che non era più solo ad occhi chiusi, ma giungeva a schiacciare il suo coraggio anche con quegli occhi troppo sopravvalutati aperti, spalancati continuamente sull’orrore di quel bosco, e che in quel momento guardavano quei due cinghiali che le erano ormai ai piedi, respirando forte e muovendo lentamente la grossa testa in piccoli cerchi senza equilibrio, come in attesa di un comando. Il sonno, le visioni, in quel bosco erano veri come la realtà in cui si muoveva il suo corpo. Calia fu costretta a tornare dal suo ricordo per affrontare così i suoi ultimi istanti di vita.
“Garco, dove sei?”
Chiamò piano temendo di voltarsi per scatenare le due belve sopite nell’attesa. Garco non rispose.
“Garco, dove sei? Ti prego rispondi!”
Garco non rispose. Calia si sentì di nuovo, per la prima volta dal giorno precedente in cui tutto era iniziato, sola. Non più Ramon vicino a lei, non più il misterioso Garco, in grado di infonderle una sicurezza mai conosciuta.
Calia iniziò a tremare, e le belve lo sentirono. Cominciarono a ringhiare, avvertendola di qualcosa che lei immaginava. “Smettila di tremare” provò a parlarle la mente tesa e dominata. Ma non poté smetterla. I cinghiali ringhiarono più forte, finché uno dei due morse Calia, che senza pensare riuscì ad evitare i denti immondi, urlando improvvisamente e rompendo il sadico equilibrio instaurato con le bestie. In un istante le loro zanne si lanciarono verso le sue gambe. Riuscì ad evitare le prime, ma venne ferita dalle altre. Il sangue che prese a colarle sulla gamba la riportò con un effetto dirompente fuori dalla nebbia che le impediva di comprendere l’unica azione da compiere per tentare di salvarsi la vita: correre via dal quel luogo, e sperare in una protezione nel fitto di quel verde. Le sua gambe cominciarono a muoversi, velocemente, senza esitazione, ma la ferita presto le impedì di allontanarsi sufficientemente dalle zanne mortali, che in breve le furono di nuovo addosso. Il suo cuore scoppiò disperdendo nell’aria l’impotenza di una donna forte.
In quel momento di morte imminente Calia fece qualcosa che non comprendeva, che non immaginava, che non rispecchiava la donna che era, o che forse la rispecchiava davvero: si voltò per affrontare quelle bestie; le attese con un coraggio improvvisamente penetrato in lei, le fissò negli occhi mentre correvano verso i suoi, come fu in quel momento del giorno prima in cui con il suo fucile fermò senza esitazione un attacco come quello, davanti alla sua casa e prigione. Mentre i cinghiali le arrivavano addosso, però, Calia non aveva un fucile con sé. Solo la sua forza, il suo corpo e la sua anima. Il primo cinghiale si avventò nuovamente sulla sua gamba, con ferocia. Calia la spostò ruotando su se stessa e, con una potenza che non era naturale, colpì il capo della bestia con il pugno, spaccandole il cranio. Il cinghiale crollò a terra immediatamente. Immobile. Le ossa scricchiolarono un istante ancora per descrivere l’arrivo della morte. Calia non sentiva spavento né dolore, solo una rabbia sopita aveva preso il posto di ogni esitazione, trascinandola in una sconosciuta forma di controllo della sua energia che la rendeva inflessibile e poderosa. Il secondo cinghiale esitò di fronte alla morte così improvvisa del suo simile, e Calia vide qualcosa che non riuscì a comprendere del tutto: quella bestia sembrava sorridesse, in un ghigno impossibile, inverosimile e tanto orribile da far tremare la fiamma della sua nuova energia, che subito però riuscì ad innalzare nella combustione di nuova fermezza. Il terrore non ebbe la meglio su di lei, ed il cinghiale subito prese a scagliarlesi contro, grugnendo come se ridesse, schernendo la sua preda, ed alimentando in tal modo la rabbia che cresceva in Calia, e che le donava l’innaturale potenza. Calia individuò sul terreno un ramo robusto ed appuntito: lo prese con una velocità stupefacente e, conficcandolo nel fianco dell’animale, trapassò la sua carne fermando la sua minaccia. Barcollando, la bestia si accasciò e stremò al suolo.
Calia si guardò intorno, osservando il bosco dal terreno su cui si era gettata per salvarsi la vita. Osservava quella quiete mortale sentendosi vigile eppure serena, con la ritrovata certezza nel suo potere di donna ferita ed uccisa, ma rinata. Non era ancora finita, e da quel momento in poi avrebbe dovuto fidarsi sempre meno di ciò che vedevano i suoi occhi, per cercare la certezza nella sensazione di pericolo che sapeva di poter riconoscere dentro di sé. Ritrovando il contatto con se stessa si accorse improvvisamente, naturalmente, di avere una fame senza misura. Da due giorni non mangiava, aveva affrontato pericoli, corso, combattuto, era ferita ad una gamba, spaventata ed il sonno continuava ad addensarsi su di lei. Due cinghiali giacevano morti a terra, ed il suo pensiero andò dritto a sfamarsi, senza lasciare spazio ad altro. Doveva accendere un fuoco, e per lei non era un problema: da molti anni aveva imparato a farlo senza nulla se non rami e foglie. Dopo qualche tempo la carne delle bestie cuoceva su delle alte fiamme, e Calia si avventò su di essa per recuperare energia e dare al suo corpo un po’ di sollievo.
Dove era Garco, che cosa poteva averlo fatto scomparire in quel modo, rinnegando ogni promessa sul suo proteggerla sempre? Mentiva dunque, era scappato di fronte ad un pericolo, lui così infinitamente forte? O era stato rapito, ucciso, in quel luogo magico, misterioso, scuro? Quanto Garco era vittima e quanto responsabile del suo dolore? E Ramon le aveva mentito, conducendola verso una morte vibrante di una ingiusta, spaventosa, inspiegabile vendetta nei suoi confronti, facendo crollare tutto ciò che aveva così tanto contribuito a costruire, la speranza di una nuova vita? Non poteva capirlo, e decise di rimandare al futuro di certo vicino la risoluzione di quel dubbio profondissimo. Comprendeva solo chiaramente di dover condurre il suo destino. Mentre mangiava sotto una luna pallida Calia ascoltò la notte, e decise che non si sarebbe più sentita perduta o spaventata. Aveva ritrovato la sua energia, e a questa si era aggiunto un potere incredibilmente grande che le aveva permesso di cavarsela da sola di fronte ad un pericolo mortale. Sapeva di essere in grado di sopravvivere senza nessuno. Lo aveva sempre fatto, e solo il desiderio di poter condividere questa capacità con qualcun altro, il bisogno di dividere le sue angosce, le aveva fatto abbassare la sua risolutiva energia per delegare ad altri parte della sua salvezza, e respirare con meno peso sul petto. Che cosa le era accaduto poco prima non interessava, sentiva però dentro di sé una luce molto più corposa ed energica di quanto avesse mai avuto, e decise di sfruttarla appieno, conducendo da sola la lotta contro il Male. Avrebbe raggiunto la radura con la furia della sua voglia di vendetta, e con la rabbia verso tutti coloro che fin da bambina le erano stati accanto, promettendole protezione e scomparendo nel bisogno.
Finì di mangiare e chiuse gli occhi cercando di escludere quegli strumenti fallaci che le impedivano di comprendere esattamente dove andare. Sentì chiaramente la nuova energia e comprese senza dubbio che questa proveniva dalla rabbia scatenata in lei dalle visioni e dalle rivelazioni sul suo passato. Sebbene contrastanti, queste rivelazioni le diedero la certezza di essere la vittima dell’odio e dell’insensata cattiveria dell’uomo. Sentì inoltre una direzione in quella rabbia, un flusso più intenso alla sua destra. Calia continuò a tenere gli occhi chiusi, e si alzò. Camminando sicura in quella vegetazione mortale si fermò in un punto, aprì gli occhi e vide un albero con le radici a forma di Ilmud: l’ottava tappa. La fame era stata sopita, la stanchezza continuava ad appesantirle la mente ed il corpo ma era ancora tollerabile, e Calia decise di continuare la sua strada. Oltrepassò la tappa e continuò a camminare in quella notte in cui ritrovò la determinazione che aveva costruito e allenato in quei dodici anni di solitudine. Dietro di lei, la carcassa di uno dei due cinghiali veniva solleticata dalle fiamme di un fuoco leggero, che rimase acceso a ricordare come il guerriero in Calia fosse rinato da un fuoco di rabbia. [continua…]
© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati