[…segue] Quando la schiera di cinghiali le si avventò contro con sempre maggiore velocità, Calia rimase immobile ad attenderla. Non esisteva più altro scopo se non penetrare nel pozzo di fronte a lei, nel cuore della radura e del Male, ed ogni ostacolo sarebbe stato annientato dal suo nuovo e poderoso essere. L’anima annerita dall’odio rabbioso si lasciò sfuggire un tetro sorriso mentre Calia, affrontando la prima fila di cinghiali, ne distruggeva la carne e la vita con colpi devastanti delle sue braccia, potenti oltre ogni umana possibilità. Li afferrava e li scaraventava lontano, schiantandoli contro gli alberi, rompeva i loro crani con pugni di ferro, ne brandiva le zanne e le spezzava, abbatteva tutto con una furia innaturale, inumana, orribile.
Ciò che accadeva in quel momento in lei era altrettanto incredibile: Calia si sentiva appagata, sicura, fiera. Uccidere le regalava nuova energia; annientare il simbolo della sconfitta della sua felicità la immergeva sempre più nella tristemente luminosa sensazione di impadronirsi a piene mani della sua vita, anche se questa sarebbe potuta finire a breve. Si sentiva, ed era, invincibile. Ed il suo cuore marciava verso un nuovo senso, regalatole dal nuovo scopo in cui la sua nuova energia la faceva primeggiare: vendicarsi. Non sentendo il dolore e non comprendendo esattamente cosa stesse accadendo di fisico intorno a lei, Calia elevò la sua mente nella memoria appena menomata, dentro quei ricordi senza più felicità, ripercorrendo ciò che l’aveva condotta a quel momento, a lottare senza difficoltà contro decine di cinghiali. Nemici che, solo qualche giorno prima, minacciavano giornalmente la sua vita in una casa cui era stata rilegata dall’odio umano della comunità in cui era nata e cresciuta. Ciò su cui si avventava, le vite che disperdeva nell’aria con i suoi colpi, con la sua energia di guerriero, non erano le vite di quei cinghiali, elementi del Male, ma di coloro che, della sua stessa razza, erano stati suoi amici, la sua grande famiglia, i compagni del suo presente e del suo futuro immaginato. Ognuno di loro, nel male che covava ciecamente, aveva cercato la sopravvivenza nella sopraffazione della sua innocente anima di bambina. Quella comunità che era stata distrutta dal Vortice, nella speranza di ripagare le sue colpe salvando la sua vita, aveva inviato Garco perché lui la aiutasse e proteggesse nel tragitto verso la distruzione del Patto con il Male; eppure la rabbia di Calia si scagliava in quel momento sulle loro anime, che la sua mente non distingueva più come meritevoli di perdono, perché ogni forma di dubbio non alloggiava più in lei. Tutto ciò che vedeva erano i volti che la sua mente riconosceva nel ricordo del dolore senza fine, e che non avevano più alcuna attenuazione dai ricordi di felicità scomparsi per sempre da lei. Calia, permettendo al Male di impadronirsi della sua memoria felice per penetrare nella radura, si librava in una chiarezza di veduta ampissima, e sapeva esattamente cosa desiderare e come ottenerlo. Chiara e sintetica appariva la sua meta, e la catena di eventi che lì l’avevano condotta. La comunità l’aveva annientata per placare il Male, ed ora lei penetrava nel Male per distruggere il Mandante, e con esso l’egoismo degli uomini che aveva conosciuto grazie alla Sua azione. Calia colpiva così i suoi nemici, le misere e indirette cause della sua vita recisa, uno per uno, insieme a quei cinghiali del tutto innocui per lei. Quando l’ultimo cinghiale si accasciò a terra sventrato, Calia rimase immobile ad attendere un contatto del Male, di cui cercava gli occhi intorno a lei. Non aveva nessun segno di stanchezza o affaticamento. Aveva affrontato decine di cinghiali senza nessuna difficoltà, ed ora voleva di più, voleva porre fine a tutto. Affrontare il Male senza mediazioni, per concludere una vita di cui non aveva più nessuna sensazione. La sua casa, le sue abitudini solitarie, la storia di Mary-Jo, il quaderno con la pece e il ramoscello, il suo fucile, il pugnale insanguinato, simbolo del legame con Ramon che si era disintegrato come il pugnale stesso nella menzogna: tutto era così lontano che Calia si sentiva la discendente di quella ragazza sordomuta, secoli dopo la sua prigionia. Il nuovo cavaliere senza debolezze tornava per vendicare la sua antenata. Ed aveva un potere infinitamente maggiore.
Il Male rispose. Nella radura coperta di carcasse di cinghiali, le radici che chiudevano il pozzo presero a muoversi lentamente, scoprendo il vuoto del buco, e avanzando nell’aria si avvicinarono a Calia, che rimase immobile. Aprì le braccia intorno alle quali le radici si avvolsero afferrandola saldamente, e si lasciò completamente avvinghiare da quelle propaggini di vita che rispondevano agli ordini della morte. Calia venne completamente ricoperta dalle radici, e la loro forza la sollevò in aria, verso quella luna silenziosa, trascinandola poi verso il pozzo, dentro il nero della sua entrata, giù nella terra.
Calia aveva gli occhi aperti che fissavano sereni quella luna curiosa attraverso il bulbo d’ingresso; poi, lentamente, le pareti del pozzo furono l’unico oggetto di quella vista attenta. Mentre penetrava giù trascinata dalle radici di una terra malvagia Calia si sentì completamente libera, in una strana sensazione di pace che, solo qualche ora prima, sarebbe stato uno degli orrori più intollerabili cui poteva pensare. Aveva sempre, nei suoi dodici anni di solitudine, cercato la risposta alle troppe domande sulla sua vita spezzata, aveva combattuto per rimanere viva nella speranza, per riuscire prima o poi a riemergere dall’abisso di nulla in cui si sentiva sprofondare ogni giorno, aveva imparato a sopravvivere, a fortificarsi, a non farsi toccare dall’inesorabile azione del tempo e della mancanza di un futuro immaginabile. Sentiva in fondo alla sua anima che non era destinata a quello, a spegnersi di una morte vuota. Quando giunse Ramon ogni sensazione di ribellione e comprensione aveva avuto la sua conferma, e lei lo aveva seguito come un salvatore. Ramon aveva iniziato un movimento che, ovunque fosse terminato, avrebbe avuto il merito di farla allontanare dalla sua prigione d’aria. Ora Ramon era diventato un nemico troppo lontano da perdonare, e molti personaggi della sua terribile esistenza avevano assunto sembianze nuove, nonostante emergessero comunque da un unico dolore che non avrebbe mai potuto allontanare da sé. Se fosse stata ancora lei, Calia, intatta nella sua memoria, energica della sola sua forza di vivere, e non della rabbia iniettata nella sua pelle troppo stanca, mentre comprendeva di essere emersa dalla sua prigionia per concludere la sua vita sotto terra, immergendosi in un tempio d’odio, se fosse stata quella Calia avrebbe pianto silenziosamente, sperando solamente che tutte le lacrime di cui era capace potessero levigare le crepe del suo spirito secco. La vecchia Calia sarebbe andata comunque fino in fondo, per comprendere, o almeno cercare di avvicinarsi il più possibile alla comprensione della sua vita, ma la sua speranza così determinata, in quella discesa sotterranea, si sarebbe spezzata irrimediabilmente nella delusione e nell’orrore dell’arrivo della fine. La nuova Calia invece, il guerriero, era serena, orribilmente serena, e questo lo sentiva. La tranquillità della sua nuova energia, e la completa assenza di speranza che il contatto con il Male accolto dentro la sua anima e la sua mente le aveva donato, la rendeva perfettamente in grado di sorreggere il peso del mondo sopra di sé, e della meta cui era diretta. Affrontare il suo destino non era più orribile né misterioso. Calia voleva solo che l’odio dentro di sé avesse modo di esplodere, e quella era l’unica strada perché ciò accadesse.
Le radici continuavano a trascinarla giù nel pozzo, e Calia pensò, con un sorriso che non riuscì a trattenere, a quel piccolo Ramon, così indaffarato a farle credere di lottare contro la sua codardia solo per lei; e a Garco, che invece era diventato forse il suo unico amico. In fondo la perdita di ogni ricordo di gioia della sua infanzia era stato l’unico modo con cui guardare tutto con una lucidità mai sperata. La semplicità, ecco cosa aveva ritrovato perdendo ogni ricordo felice. Calia era tornata semplicemente una ragazza che voleva qualcosa. Anche se ciò che voleva in quel momento non era più gioia o vita, ma i loro opposti più feroci, non importava. Avrebbe affrontato un unico nemico, e ciò che sarebbe accaduto sarebbe stata la risposta ad ogni domanda che da anni le riempiva le notti.
Un brusco arresto fece voltare Calia; il pozzo era finito, e le radici la posarono docilmente su un terreno buio e umido che si allargava in un grande antro senza luce. Calia dovette abituare un po’ gli occhi a quello scuro, prima di essere aiutata da una luce fioca proveniente da dietro di lei. Si voltò ieratica e con sua sorpresa la fonte di luce si spostò con lei rimanendole dietro. Mentre la luce diventava più intensa, rischiarando le zone di quella stanza di terra, e la base della sua schiena bruciava di crescente intensità, Calia capì: l’Ilmud impresso sulla sua carne le donava quella luce, e Calia vide a poco a poco cosa nascondeva il buio di quel buco nel cuore della radura, faccia a faccia con il Male. Rischiarati dalla luce, apparvero lentamente dall’oscurità i volti ed i corpi magri di Merito, Sondra e Codi, la sua famiglia, sospesi da terra e trattenuti alle pareti di terreno da radici come dita, emergenti da diversi punti di quelle stesse pareti. Calia spalancò gli occhi increduli su di loro, in attenzione estrema, per cogliere impercettibili segni di vita, che si mostrarono in un piccolo tremolio nel labbro del suo piccolo fratello. Spaventosamente, le loro sembianze erano quelle di dodici anni prima. Calia si lanciò su di loro con la velocità e la potenza della sua nuova energia. Una voce la arrestò:
“Calia”
Sentì evocare piano alla sua sinistra.
[continua…]
© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati