un anello di ricordi

Una sola volta la piccola Elisa riuscì ad entrare nello sgabuzzino della sua casa, un angolo per lei spaventosamente cupo e misterioso.

Ci finì senza accorgersene, giocando a girovagare per casa bendata e salutando ogni mobile incontrato come se fosse in un mondo popolato da cose e persone che conosceva benissimo. “Salve Tom Salmone, come va oggi?”, “Ha risolto quel problema signora Aragosta?”, “Che bello quel cappello Ferdinand!”; ogni angolo, muro o oggetto diventava un personaggio di un mondo che solo lei poteva vedere, ad occhi chiusi. Se le avessero parlato in quel momento non avrebbe risposto, perché non era nel mondo reale.

Procedeva per casa con le mani davanti a sé, salutando ogni tanto chi incontrava, anche solo con un gesto. Quando le sue mani toccarono la porta del ripostiglio non poteva sapere dove stava entrando, perché nel suo mondo non c’erano stanze, ma solo alberi, prati grandissimi, e tanti bizzarri animali parlanti, e sole, e acqua, e dei piccoli fiorellini a forma di campana che solleticavano i piedi nudi che si poggiavano sopra di essi producendo mille note diverse, proprio come migliaia di campane vere. Era il paese dei destini, dove ognuno poteva scegliere il proprio scopo nella vita, e fare ciò che desiderava per affrontarlo. Elisa aprì la porta dello sgabuzzino, ed entrò nella stanza dove mai era stata. Non aveva paura, perché era il suo mondo, e non quello normale. Viaggiò lungo una strada di biscotti intinti nel latte, molliccia e piacevole perché accarezzava i piedi scalzi, ma senza sporcarli. Se volevi, potevi sdraiarti e mangiarne qualcuno, o leccarlo. Erano deliziosi, e senza la noia di doverli inzuppare!! Quando incontrò un piccolo albero di poco più alto di lei, allungò una mano per fargli il solletico, agli alberi piaceva tanto. Per ringraziarti si agitavano regalandoti dei pinoli speciali, di cioccolata. Nella realtà stava aprendo un cassetto e prendendo un anello dentro di esso, che lei mise in tasca credendo fosse un pinolo.

Andò a trovare il re della foresta chiara, poco più avanti, e giocò con lui agli scacchi invisibili, dove vinceva chi riusciva a pensare più intensamente alla posizione dei pezzi. Chi aveva i pensieri più forti faceva materializzare i pezzi, e vinceva facendoli diventare matti e cantare canzoni lontanissime e allegre come il miele sul naso.

Arrivò il tempo di lasciare il mondo di Maralatte: Elisa promise al re di tornare presto, per provare a vincere, perché quella partita l’aveva persa. Allungò le braccia in aria e salutò tutti, poi si tolse la benda e ritornò a casa sua, davanti alla porta di ingresso, con un anello in tasca che non ricordava di aver preso.

Eppure sapeva che non era stato solamente il caso a metterlo sulla sua strada: era destino che lo trovasse e che, indossandolo, fosse testimone di qualcosa di speciale.

Elisa tornò nella sua stanza, si sedette sul suo letto e, dopo aver aspettato un istante per assaporare il momento, infilò l’anello al suo dito indice. Non accadde nulla. Aspettava, e aspettava, ma non sembrava ci fosse nulla di magico. Le era solo tornato alla mente un film che aveva visto molti anni prima, forse il primo film che aveva visto…anzi, sicuramente il primo film che aveva visto. Era strano come potesse ricordarlo così bene, ricordando anche l’età esatta che aveva: 2 anni! Come poteva ricordarlo? E ricordava adesso anche come si chiamava il pesciolino rosso che aveva vinto alle giostre il suo papà, due anni prima. Lo ricordava benissimo, il suo nome era Pepi, ed era purtroppo morto due giorni dopo essere arrivato a casa sua, il 6 agosto, alle ore 12:56. Ricordava tutto con una straordinaria chiarezza. Ogni cosa fatta da quando era nata, l’ora, il giorno, i nomi, i paesaggi. Arrivavano dalla memoria molti altri ricordi, tutti ricchi di dettagli, belli e brutti. Come quella volta che aveva perso il suo orsetto portafortuna. Non ricordava dove l’aveva lasciato, ed aveva pianto per giorni.

Anche adesso, a ripensarci, stava male…ma si!! Sapeva dove l’aveva lasciato!! Ora lo ricordava, ed era l’anello ad averle dato quel potere. Il suo orsetto…finalmente ora sapeva: quel giorno in cui avevano fatto una gita in campagna, con pic-nick e tanto sole. L’aveva lasciato sotto l’albero perché poteva scottarsi, quell’albero di castagne che profumava così tanto. Poi era scoppiato un temporale, ed erano andati via di corsa. Lui era rimasto lì, solo, al freddo. Non aveva mai ricordato dove potesse essere, e non poteva perdonarsi di non saperlo. Era passato il tempo, ma Elisa soffriva ancora ad averlo abbandonato così. A nulla erano servite le ricerche dei giorni seguenti. Laggiù, lontano da casa, era stato dimenticato. Elisa prese la decisione più coraggiosa della sua vita. Ricordava perfettamente la strada per arrivare all’albero. Scese in strada, e cominciò a camminare. L’anello sempre al dito. Sapeva che non era troppo lontano. Camminò per tutto il giorno, e si fermò solo una volta per riposare un po’. Cominciava a tramontare quando vide da lontano l’albero. Gli occhi le si bagnarono un poco. Sapeva che non avrebbe mai potuto ritrovarlo lì. Ma la speranza era come un piccola lucetta in fondo al suo cuore che non voleva spegnersi. Era poca ma c’era. Elisa avanzò, sempre di più. Il sole diminuiva piano piano, e vedeva sempre meno. Poi arrivò poco distante dall’albero di castagne. E scoppiò in lacrime. L’orsetto era lì. Aveva aspettato paziente tutto questo tempo, perché sapeva che Elisa sarebbe tornata a prenderlo. Il suo amico del cuore aveva avuto fiducia in lei e, tutto sporco e strappato, era lì nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato tanto tempo prima. Elisa corse veloce, le lacrime le scivolavano dal viso trasportate dal vento. Lo prese e lo abbracciò stretto stretto, non riuscendo a dire nulla se non “grazie” tra i singhiozzi. Lo guardò negli occhi e gli giurò che non lo avrebbe lasciato mai più. Il suo amico, il suo migliore amico, sarebbe stato sempre con lei.

E quando, molti anni dopo, Elisa ebbe dei figli, loro ebbero il grande onore di conoscerlo, e di ringraziarlo per essere stato l’unico amico fedele della mamma. Il solo che non l’aveva mai tradita.

 

© Andrea Orlando – Tutti i diritti riservati