[…segue]. Era il libro preferito di Calia, “La straordinaria storia di Mary-Jo”, perché lo leggeva sempre sua madre a lei e a Codi, ed era pieno di belle immagini, di buoni sentimenti, e di colpi di scena sempre risolti per il meglio.
Mary-Jo aveva una barca in cui passava ogni momento libero della sua giornata, densa di lavoro casalingo al fianco del padre. In quella barchetta inventava ogni genere di storia fantastica sulle misteriose creature che popolavano il lago intorno all’isoletta sulla quale abitavano lei e suo padre. Non aveva mai visto la terraferma Mary-Jo, ed aveva tutto un mondo da creare nella sua mente avida di informazioni, colorando ogni piccolo aspetto nella sua mappa immaginaria della realtà al di là del lago, dove tutti potevano avere la possibilità di viaggiare in giro per la terra, ovunque avessero voluto. Il pensiero faceva correre sulla schiena di Mary-Jo un brivido di emozione e felicità solo ad immaginare l’immensa possibilità di conoscere nuovi amici, nuovi colori, nuove sensazioni, lei che non poteva vedere al di là degli alberi che accarezzava con gli occhi ogni giorno, oltre la grande distesa d’acqua che isolava la sua casa. Mary-Jo era uno spirito libero, un folletto, o una fata, come quelli che immaginava popolare il lago, e che lei credeva la chiamassero ogni momento a prendere coraggio ed attraversare l’acqua che la separava dal mondo. Ma ciò era assolutamente proibito, pena il divieto di salire sulla barca. Lei non poteva neanche immaginare di non poter più occupare il suo posticino galleggiante, e questa attanagliante paura le impediva ogni tentativo, seppure fosse ragionevolmente possibile che in poco meno di una giornata di remi potesse raggiungere ciò che da sempre sognava: la terraferma. Mary-Jo aveva un dono sublime, cantava come nessuna creatura al mondo poteva riuscire a fare. Era così bella la sua voce che riusciva ad ipnotizzare la natura intera, a renderla schiava di quella melodia facendola zittire ed ascoltare. Tutti si immobilizzavano ad udire Mary-Jo che cantava, uccelli, serpenti, rane, zanzare, scoiattoli, cervi, coccinelle, alberi, piante, acqua. Anche il padre di Mary-Jo, il suo severo padrone, non poteva resistere al potere del suo canto, e cadeva in trance ad ascoltarla, piangendo. Quando la sua voce lentamente scemava, tutto ritornava a prendere vita, come se ogni elemento della natura avesse goduto del più alto momento di estasi, per poi rientrare nella normalità senza ricordo della magia, ma con la sensazione di stare bene, di sentire la vita più bella del solito, più forte, più pulsante di straordinaria energia benefica. Il padre di Mary-Jo tornava dalla trance con le guance rigate e non riusciva a ricordare il perché di quella vergognosa azione involontaria, attribuendo infine ad una qualche creatura malvagia questo incantesimo, dal quale però, in fondo, si svegliava con una sensazione di benessere che sperava sempre di riprovare. Quella creatura magica forse non era così malvagia, ma certo il compenso per quella piacevole emozione era sconveniente, le lacrime non erano per gli uomini, e soprattutto per gli uomini adulti. Per fortuna sua figlia non era mai presente durante questa scandalosa debolezza, e altri testimoni non c’erano sulla loro isoletta, a parte gli alberi e l’acqua. Sua moglie, la mamma di Mary-Jo, era morta quando lei aveva un anno. Mary-Jo cantava solamente sulla sua barchetta, galleggiante sui suoi sogni, a pochi metri dalla casa. Lì, il suo spirito si alzava ad abbracciare tutto quanto era intorno. Alcuni cacciatori, al di là del lago, narravano di una sirena che abitava quelle acque, una voce talmente bella da fermare tutto, ma non avevano il coraggio per andarle incontro. Il lago era infestato da creature strane e pericolose e poi, certe magie è meglio non svelarle. La sirena del lago Neroi, come la chiamavano, donava un momento di elevazione pura a chiunque avesse la fortuna di ascoltarla, e questo era tutto ciò che si sapeva. Mary-Jo cresceva, e con lei il desiderio sempre più forte ed incontenibile di scoprire cosa ci fosse al di là del lago. Lavorava ogni giorno per sistemare la casa, preparare da mangiare, lavare i vestiti, mentre il padre si occupava di pescare e riparare tutto ciò che richiedeva manutenzione. Lui, ogni tanto, approdava sulla terraferma per cacciare qualche cervo o dei cinghiali, ma a Mary-Jo era assolutamente vietato, e la barca era una sola. Se lei avesse voluto anche solo per poco tempo prenderla all’insaputa del padre non avrebbe potuto passare inosservata, e quando la prendeva il padre per lei non c’era possibilità di scappare. Inoltre, l’uomo aveva un sonno leggerissimo, qualsiasi rumore insolito nel cuore della notte, come slegare la corda che teneva la barchetta o il fendere l’acqua, lo avrebbe fatto scattare, come era giusto che fosse, essendo solo loro due al centro di un lago nel mezzo di un bosco. Ma Mary-Jo aveva deciso: sarebbe scappata, in un modo o nell’altro. Magari per poi tornare dopo non molto tempo, ma ormai aveva dodici anni, e non poteva più sopportare il desiderio di vedere cosa ci fosse al di là del lago. Un giorno accadde. Mary-Jo era ad una decina di metri dall’isoletta, sulla sua piccola barca. Cominciò a cantare. Tutto rallentò, il canto degli uccelli, lo spruzzo dei pesci che toccavano la superficie dell’acqua, il rumore del vento, il battito delle ali delle decine di volatili, il crepitio dei ramoscelli spezzati dai piedi dei cacciatori nel bosco, lo spaccare la legna del padre, che cominciò a piangere. Mary-Jo continuava a cantare, e lentamente, ma decisa, continuava ad avanzare. Poi iniziò a mettere più forza nelle braccia, ed i remi spostavano l’acqua in silenzio, perché anche l’acqua ascoltava Mary-Jo. Continuò ad avanzare, ancora e ancora, verso la riva. Sempre più veloce, sempre cantando, sempre incantando tutto intorno a lei. Cantò e remò per tutto il giorno, e quando già era buio, toccò la riva. Stremata, cadde a terra e svenne, dopo un giorno di incanto. Tutto si svegliò, tutto era stato muto per l’intero canto di Mary-Jo e tutto, ora, piangeva di bellezza. Suo padre crollò, disidratato dal lunghissimo piangere, e così ogni uomo incantato. Riuscì a trascinarsi per bere, e lentamente si riprese, come si riprendeva la natura, innaturalmente immobile.
Anche Calia piangeva e piano, chiudendo il libro, rideva di gioia pura, come ogni volta che leggeva quel momento della storia, fin da quando era bambina, incantata anche lei da Mary-Jo. Leggeva ogni mattino quel libro, per illudersi che qualcosa di bello poteva accadere. Anche lei, come Mary-Jo, imprigionata in un luogo per paura di una minaccia. Nel lontano passato di dodici anni fa, quando la sua famiglia scomparve e Calia fu accusata e torturata per essere la peccatrice che doveva redimere la sua comunità, era stata avvertita che, se avesse lasciato quel luogo maledetto, portando con sé il peccato e mettendo in pericolo altra gente, la avrebbero trovata ovunque, e le conseguenze sarebbero state terribili.
Mary-Jo poteva cantare e con la sua voce fermare il tempo. Calia non aveva più voce, e non sentiva altro che il suo interiore urlo di vita, e la speranza che tutto si potesse infrangere, compresa la paura di reagire, e cercare la vita altrove. Ripose il libro, quel libro su cui, oltre a sognare, aveva imparato a leggere, in quella comunità che, gelosamente, si tramandava cultura e sapere, ma in cui le letture non approvate dai Tre Saggi erano bandite e bruciate. Le dolevano un po’ le ferite cicatrizzate su tutto il corpo. Come a voler trattenere per un istante ancora la gioia della lettura del suo libro, chiuse gli occhi spremendo l’ultima goccia di lacrima, che scivolò giù sulla guancia, brillando di speranza. Di nuovo, Ramon le apparve in mente, con il suo viso amico. Le aveva fatto trovare un pugnale nascosto, sporco di sangue, cosa significava? Di colpo ricordò, e capì. Aprì gli occhi, si voltò e guardò il tavolo con il quaderno e il rametto intinto nella pece. Lo prese, e rimpinguandolo nell’inconsueto inchiostro, scrisse: “Si Ramon, ora ricordo. Il pugnale è pulito, ed ora è pronto.” Un colpo fortissimo fece tremare la porta. Calia si volse rapidamente, ed un urlo acutissimo ruppe un bicchiere. Lei non poteva sentirlo, ma vide i vetri per terra, e capì. Prese il fucile poggiato nell’angolo accanto allo sgabuzzino, lo caricò e si preparò ad uscire. [continua…]
© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati