[…segue] Ramon si svegliò per primo. Era sera inoltrata, ed il camino era ormai un piccolo mondo di brace quasi del tutto nera, ma con ancora qualche lembo di rosso calore. Lasciò sciogliere l’intorpidimento di tutto il corpo, e gli sembrò di essere morto da tempo ed averlo realizzato solo in quel momento. Calia, accanto a lui, dormiva, e sembrava un angelo. Senza pensarci si rappresentò quel momento come il paradiso circondato dall’inferno, un’oasi serrata dal buio delle fiamme nere. L’immagine lo scosse, poi lo gettò in un intorpidimento ancora più forte, come se l’attrazione malvagia che quella visione conteneva lo trascinasse giù nel vortice del nulla, in quelle fiamme scure. Infine, per reazione, lo fece svegliare del tutto.
Si alzò, riassorbendo la scossa, allineandosi con quel luogo e quel tempo. Calia si mosse, ma non si svegliò, e Ramon notò qualcosa nel fuoco, qualcosa che, come il nero avvampare dell’immagine di un istante prima, lo attraeva stranamente, pizzicandolo alla base della schiena, in un brivido. Si accostò alla brace, da cui ancora un alito tiepido sussurrava, e raccolse qualcosa in mezzo ad essa. Era il vetro del bicchiere che Calia aveva fatto scivolare dentro il cinghiale; le carni si erano dissolte nelle fiamme così come queste avevano sciolto il vetro, che ora era solidificato in una forma che Ramon subito, spaventosamente, riconobbe. Si voltò a guardare preoccupato Calia, con una scura indecisione sul volto, poi tornò a fissare il pezzo di vetro. Profondo, nelle sue mani, era il simbolo di tutto. In quel momento, lentamente, Calia aprì gli occhi e, guardando Ramon, guardò le sue mani, guardò l’oggetto, guardò il simbolo della sua tragedia in quella notte di dodici anni fa. Nelle mani dell’unica persona che tenesse a lei, quel vetro concentrava molecole di materia nella semplice ed inquietante intersezione di due curve. Di fronte, nuovamente, a quel simbolo, Calia provò terrore, ma insieme ad esso gioia. Stava per finire tutto, ed ogni piccolo accadimento di quei giorni tesseva una ragnatela di destini attorno a lei, a Ramon, e alla sua realtà. Spezzarla era la vita. Altrimenti essa si sarebbe stretta su di loro fino a stritolarli.
“Voglio raccontarti tutto”
Calia rispose di sì. Lo disse con i suoi occhi troppo pieni di vita. Raccolse il simbolo di vetro dalle mani di Ramon ed aprì la porta della piccola casa. Un vento gelido, che portava un’idea di purezza, invase il caldo ambiente, uccidendo il piccolo rossore delle braci.
Ramon cominciò:
“Quella notte, nelle prime ore del tuo compleanno, scappammo tutti via, il più lontano possibile da te e dalla maledizione che stava per arrivare. Erano come posseduti, tutti quanti. Io ero in lacrime, avevo una rabbia ed una paura che a stento riuscirono ad arginare. Ma lo fecero. E mi strapparono da te come demoni, impedendomi di aiutarti, di cercare di porre fine a quello strazio, alla tortura che ti stavano infliggendo dopo che la tua famiglia era scomparsa nel nulla, dimostrando alle loro menti folli che tu eri il sacrificio che la comunità doveva concedere al Male. A piedi ci incamminammo verso le montagne, decisi a superarle l’indomani. Dovettero trascorrere però due giorni prima che riuscissimo ad oltrepassarle. Ci fu una tormenta, la prima notte ci coprì senza pietà ed il giorno successivo fummo colpiti tutti, al riparo solo delle nostre preghiere. In due morirono, ed i Tre Anziani dissero che non meritavano la possibilità di redenzione a cui stavamo andando incontro. Erano immondi come la famiglia del peccato. La tua. Dormimmo al gelo la seconda notte, e il giorno seguente riuscimmo a varcare le cime. Ma durante la prima notte riuscii a portarti il pane, e una minestra che trovai nel villaggio completamente deserto dalla fuga precipitosa. Non riuscii neanche a toccarti, e dovetti ritornare da loro per la paura. Mi riempirono la testa di castigo e peccato, e non fui in grado di ribellarmi alla loro cieca stupidità, se non con quel piccolo tentativo di aiuto. Avevo paura di te, che potessi finire anche io bersaglio della loro follia se ti avessi solamente sfiorata. Io…ti chiedo scusa Calia. Sappi solo che il rimorso non mi ha fatto dormire una sola notte tranquillo in tutti questi dodici anni.
Quella notte tu avevi tracciato quel simbolo sulla terra. Allora mi chiesi il suo senso. Te lo chiedo ora, perché esso è tornato, e perché sento che possiede qualcosa di magnifico e distruttivo”
Calia ascoltò senza muoversi, fissando le montagne. Finalmente qualcosa prendeva una forma nel nebuloso mistero che la avvolse quando, sopravvissuta dopo la tortura in quella lontana notte di dodici anni prima, perseguì dentro la sua casa la decisione di non morire. Aveva la conferma che il suo amico Ramon aveva contribuito a tenerla in vita, con quel gesto di cui riconosceva l’immensa grandezza e che lei aveva potuto soltanto immaginare fino a quel momento. Erano entrambi dei bambini. Poi si era trovata sola, a terra, inerte, in attesa di decidere se lasciarsi morire, e quando il cinghiale le aveva trasmesso, fissandola negli occhi, la sua prigionia e la potenza cui doveva sottomettersi, Calia non solo l’aveva accettata, ma lo aveva fatto con la risoluzione di non togliersi la vita. Mai. Ora, con il viso verso la speranza della fuga al di là delle cime, sollevò di poco lo scarno indumento che le copriva il busto, scoprendo alla vista di Ramon un piccolo segno alla base della schiena, fra le numerose cicatrici che ora, rinnovate dal ricordo, rilucevano di dolore. Lo stesso simbolo che il vetro sciolto e solidificato aveva generato. Quel simbolo. Su di lei.
“Cos’è quel simbolo?”
Calia respirò e si voltò verso Ramon, immaginando la sua domanda, e sentendo la sua ansia. Molti secondi passarono prima che si mosse, entrando in casa verso la cucina. Prese il ramoscello, la pece ed il quaderno, gli strumenti della sua parola, e scrisse:
“aspettavamo il mio compleanno. Mancavano pochi secondi alla mezzanotte. Chiusi gli occhi, contai fino a dieci, e quando li aprii i miei genitori e mio fratello non c’erano più. Al loro posto, sulle assi di legno del pavimento, era apparso questo simbolo. Come una bruciatura sul corpo della casa. Quando si seppe quello che era accaduto la comunità mi assalì, trascinandomi per i capelli fuori dall’abitazione. Poi tutto cessò, e mi svegliai dal dolore a terra, sentendo quel simbolo addosso. Lì dove ti ho mostrato. Lo tracciai a terra con un dito, perché sentivo che mi minacciava ma allo stesso tempo poteva proteggermi. Credo che ora significhi l’inizio della soluzione”
Ramon aveva la stessa sensazione. Alzò gli occhi dal quaderno, chiuse la porta ed il freddo della notte fuori dal loro rifugio, e prese le mani di Calia tra le sue. Il simbolo, le due curve di vetro che Calia aveva in mano, improvvisamente brillò, acceso dal calore dei loro palmi. Fili di luce attraversarono le fessure delle loro mani toccando elementi e angoli di quella piccola dimora. Ramon e Calia guardarono meravigliati ed illuminati quella magia, sentendosi leggeri e carichi. Pronti.
“Domani, dobbiamo partire domani”
Disse Ramon, continuando:
“è arrivato il momento di entrare nel bosco.”
Calia guardò il pugnale, sporco del sangue della belva, in attesa sul tavolo.
“Si, quella è la nostra unica arma, la sola che ci è concessa”.
Ramon sentenziò.
“Calia…Devo recuperare una cosa dal pozzo.”
Calia rimase immobile. Non capiva. Il pozzo che un cinghiale qualche anno prima distrusse in parte, che riusciva a darle l’acqua sufficiente per la sopravvivenza, rappresentando il limite massimo in cui le era concesso spingersi lontano dalla casa. Che ruolo aveva adesso?
“Ti prego aspettami qui. Qualsiasi cosa accada non muoverti. Mai. Per tutta la notte. Se al mattino non sono ancora tornato, vienimi a cercare al pozzo.”
Calia spalancò gli occhi da cui uscì un “no” più potente delle parole. Lo trattenne, lo fissò per cercare di farne crollare la determinazione. Ma Ramon doveva fare ciò che aveva detto. Calia non capiva come potesse avere una cognizione così ampia di ciò che accadeva. Da dove veniva, che cosa gli avevano detto. E soprattutto, chi.
“Ti prego, ascoltami. Aspettami per tutta la notte senza uscire mai. Fidati di me. Potrei tornare fra non molto.”
Poi si voltò verso la porta, al riparo dallo sguardo di Calia, che le faceva comprendere ciò che non potevano più le sue orecchie.
“O non tornare più.”
Ramon aprì la porta e, mentre la luce del simbolo nelle mani di Calia si affievoliva fino a spegnersi, senza voltarsi, uscì fuori. [continua…]
© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati