XXXVI

[…segue] Calia si sentì annientata. Tutto il tragitto compiuto l’aveva condotta al bivio tra la rinuncia alla sfida con il Male e un sacrificio estremo: dimenticare ogni momento felice della sua vita di bambina. La sua unica vita. La morte, con il suo annientamento totale, era al confronto un prezzo inferiore. Calia non poteva rinnegare in un solo istante tutto ciò che aveva, l’unico strumento che possedeva per sentirsi ancora distante dalla condizione di paralisi dell’anima: la contemplazione dei suoi ricordi felici, la sua gioia mai più provata, il colore che dava un senso alla sua esistenza, che da dodici anni ormai diventava sempre più una sfumatura poco cangiante di grigio. Senza questi indispensabili ed unici sospiri della sua prima vita, seppure avesse ancora vissuto, avrebbe desiderato la morte. 

Eppure l’anima di Garco, accanto a lei nell’ultima parte del percorso verso la radura, lo presentava come l’unico sacrificio per giungere ad essa, ed al confronto con il suo destino, che era lo scopo della sua vita di adulta. Non sapeva cosa sarebbe accaduto lì, nella radura separata solo da quel muro di piante, se avrebbe mai ritrovato la sua famiglia, o il modo per vendicare il suo dolore ed il loro, ma soprattutto non sapeva come avrebbe continuato a vivere senza terminare quel viaggio: tornare indietro? Dove? Il Vortice aveva distrutto ogni cosa. Con quale spirito, con quale scopo? Riprendere una vita in solitudine ricordando i suoi momenti felici e piangendoli senza nulla e nessuno al mondo. Perché vivere allora? Dunque la morte, in entrambe le scelte, sarebbe stata la meta più probabile: perché allora non andarle incontro per tentare, poco prima di incontrarla, di capire cosa le era stato destinato, il vero motivo della sua condizione in quel mondo. Cosa sarebbe accaduto a Garco, a Ramon, e cosa ai suoi genitori, se in qualche luogo ed in qualche quando fossero ancora stati vivi. La disperazione per quella scelta compresse ogni corrente d’aria nel suo corpo, e a Calia sembrò di bruciare dentro; sentendo quel sangue di lava corroderle la pelle dall’interno, prese l’unica decisione possibile ancora prima che Garco la sollecitasse, urlando tra la voce della radura che gridava invadendo cuore e mente:

“Presto, Calia, non resisterò. L’unico modo per onorare il mio giuramento con me stesso è quello di portarti qui alla radura, alla fine del tuo viaggio. Devi farlo, Calia, non hai nulla per cui vale la pena desistere. Che vita ci sarebbe per te? Dove vivresti, come? Non esiste più una casa, un senso, una vita. Permettimi di aiutarti a rompere il Patto, sono il solo rimasto vivo, ed ho promesso a tutta la comunità di starti accanto. Continuo a farlo nonostante tutto, ma sarai tu a dover decidere infine.”

“Non posso scegliere, Garco. Sono io ad essere scelta. Sono pronta. Il Male prenderà i miei ricordi felici di bambina.”

“Io non potevo immaginare. Io non… Presto Calia! Non posso più restare. Devi chiudere gli occhi e lasciare che la rabbia si impadronisca di te totalmente. Il Male deve poter entrare in te e corrompere la tua memoria. Io sarò…”

L’immagine di Garco improvvisamente scomparve, dissolto nel lamento infernale e in un vento che si alzò improvviso come attento ai movimenti dell’anima sollecitata. 

Calia non aveva più nulla cui opporsi, chiuse gli occhi e liberò la mente ascoltando solo la rabbia che le scorreva dentro e ribolliva sotto l’influsso della radura in attesa al di là del muro di piante. Dal suono che riempiva tutto il suo udito nacque un sibilo sottile e penetrante, e Calia vide apparire nei suoi occhi chiusi al mondo le immagini della sua infanzia, le immagini gioiose, i ricordi piacevoli attraversati dalle sue risate, dalle piccole rughe che si formavano intorno agli occhi socchiusi per il sole, dai canti, dai giochi, dalle serate nella comunità dopo le cene, dalla piccola tavola di casa dove lei, Merito Sondra e Codi si scambiavano occhiate complici prima di mangiare le prelibatezze che sapeva cucinare la madre, dai racconti del padre, dagli scherzi senza pensieri oscuri tra lei ed il suo fratellino: come se corresse ad una velocità senza pari davanti alle immagini del suo passato accasate nella sua mente, queste immagini, le voci e le azioni, rimanevano dietro la sua disperata corsa per non tornare mai più. Uno dopo l’altro, tutti i ricordi felici che la proteggevano nei momenti di disperazione e della sua solitudine troppo grande, scomparvero per sempre, in quel vento diabolico, lasciando il suo cuore vuoto di vecchie e care emozioni in un petto ansimante, guidato da una mente menomata. 

La corsa della rabbia dentro la sua memoria finì presto, e con lei ogni speranza di gioia passata. Calia venne investita dal sibilo infernale della radura fino al centro della sua anima, e quando lo assorbì del tutto dentro di sé, aprì gli occhi. Il lamento era sceso di intensità, così come il vento che toccava ormai con delicatezza le foglie, e tutto sembrava in attesa di una sua azione. Calia, perduta la parte più cara di sé, guardava con occhi privi di sensazioni la parete di arbusti e foglie, e sentì i suoi occhi annerirsi. La rabbia li aveva raggiunti, aveva preso la sua mente, e le lasciava solo il marcio del suo passato, le azioni tristi, le ingiustizie della sua famiglia e della comunità, le immagini cupe, crudeli e nere di una breve vita di bambina. Su tutte, la flagellazione subita da parte della comunità era il cuore di quel cimitero vivente che sentiva dopo aver donato la gioia. L’aridità l’aveva presa, e quegli occhi, specchio di un cuore seccato, ne mostravano la sostanza. La sua espressione era orribile, e Calia la sentiva, ne sentiva la potenza, l’enorme definizione della sua nuova capacità di donna. 

In quel momento comprese qualcosa di nuovo portato fuori dalla sua mente scura: nessuno le era vicino, nessuno desiderava la sua gioia, tutti desideravano la sua distruzione. I suoi genitori, la comunità, i Tre Saggi, Garco, Ramon. Lui soprattutto: vedeva dentro di sé come fin da bambino le era sempre stato contro; aveva finto la sua complicità, l’aveva guardata mentre le infliggevano torture impietose, l’aveva cercata per consegnarla al male. Ramon meritava ogni dolore in quella vita ed in una futura, se possibile. Non ricordava Calia nulla che fosse Bene prima della notte del suo compleanno e, non avendo avuto più momenti felici, se non quelli con Ramon, dopo che lui aveva aperto di nuovo la sua porta dopo anni di solitudine, Calia ragionava in quell’istante in funzione di ricordi scelti selezionati tra il nero, ricordi di conflitti, di dolore e congiure. Alla luce della sua nuova memoria di odio, però, anche l’amore scoperto da poco per Ramon, il bacio, la speranza di qualcuno che, al suo ricordo le aveva sempre confermato la cattiveria di tutti coloro che l’avevano circondata, erano falsità più grandi di ogni compassione o perdono. A nulla valevano le immagini rimaste in lei del ragazzo Ramon che, tornato dal suo passato di bambino, la prendeva per mano per portarla verso la salvezza, via dalla sua solitudine. Quelle immagini, scampate alla cancellazione perché non appartenenti alla sua infanzia, erano per Calia il malefico confondere di Ramon perché lei andasse verso il Male. L’inganno di cui si sentiva oggetto superava ogni suo ideale di malvagità, e solo in quel momento, senza i suoi ricordi più belli, le sembrava tutto chiaro e semplicemente orribile. Ramon la stava conducendo verso la morte per la sua stessa salvezza, e per un rimorso che voleva tacere guadagnando l’onore del Male, lui che non aveva mai realizzato nulla nella sua misera vita. 

La sua nuova condizione era indescrivibile: nonostante lei ricordasse di avere perduto pezzi di memoria felice della sua infanzia, nonostante lei sapesse di avere scelto di perderli, e fosse cosciente dell’istante in cui li aveva perduti, il nuovo assestamento della sua mente era l’unico su cui sentiva di voler fare affidamento. Non aveva più senso per lei giudicare ed analizzare sui ricordi perduti: ciò che era in lei in quel momento la portava verso un giudizio che sarebbe stato il solo valido nel suo breve futuro. Le troppe e troppo profonde immagini nere della sua infanzia soffocavano completamente quelle luminose, così poche, della sua vita di adulta. Le sue azioni nella radura sarebbero così state condotte solamente dal Male dentro di sé, e non dal Bene che sapeva di avere avuto ma che non poteva più ricordare. Se il Male voleva questo perché lei ponesse termine al suo viaggio e forse riuscisse a rompere il Patto, era ciò che avrebbe fatto. Avrebbe giocato secondo le Sue regole. Non aveva più nulla da perdere. 

In questo modo Garco aveva improvvisamente ragione. Di lui non aveva ricordi negativi, Garco era sempre stato in disparte nella sua infanzia, ed in quel momento lui la guidava per salvarla, non aveva interessi. Garco era la sola persona di cui aveva più ricordi positivi che negativi, ché questi ultimi non erano mai stati tali del tutto, rimanendo sempre in attesa di una conferma alle parole di Ramon, che aveva tentato in ogni modo di rendere Garco qualcuno da temere. Ma Ramon, per Calia, era in quel momento un nemico. Dunque, Garco non lo era. 

La rabbia fluiva in lei come lava brulicante d’odio e, quando alcuni rami di quella parete impenetrabile caddero come morti a terra, violando quel muro ed aprendo in esso un’apertura per lei, la consapevolezza di aver perso una parte di sé contenuta nei ricordi di un suo passato d’amore non ebbe importanza di fronte all’odio che sollevava la sua energia e la spingeva verso l’oggetto della sua vendetta: il Male l’avrebbe sfidata nella sua nuova potenza. Senza debolezze legate all’affetto per qualcuno Calia non sentiva limiti alla sua furia rabbiosa. Oltrepassò il muro con gli occhi fermi della rabbia, senza speranza né dubbi, ma solo con il desiderio di concludere la sua vita nell’odio. La parete di arbusti si chiuse dietro di sé, e Calia giunse alla radura.

Di fronte ai suoi occhi neri la tranquillità mai più sperata si presentava in tutta la sua bellezza. Un’ampia pianura era illuminata da una luna piena, fedele e discreta, che accarezzava un’erba leggera e corta, nonostante dovesse essere giunto il mattino nel mondo al di là del bosco, se fosse rimasto un mondo. Gli alberi intorno erano stranamente profumati, e oscillavano tra le dita di un leggero vento freddo. C’era calma, eppure si percepiva ancora più a fondo un irrequieto movimento di attesa, una sensazione che disegnò sul volto di Calia un sorriso di sfida, comprendendo che la soluzione era vicina. Sentiva l’Ilmud alla base della sua schiena bruciare, ma il dolore non aveva alcuna presa su di lei. Anzi, ne alimentava il potere. Calia era una ragazza profondamente diversa da quando era entrata nel bosco del suo ultimo viaggio. Insieme alla nuova forza interiore ed a quella esteriore, sentiva per la prima volta il mondo intorno a lei un’estensione del suo essere, invece che una prigione che ne impediva lo sviluppo. Ed ora che il suo sviluppo aveva subíto un imponente crescita, si sentiva bene. Si sentiva motivata, si sentiva in grado di affrontare la sfida che le era stata imposta. La maturazione che le era stata negata dalla sua estraneità al mondo, ora l’aveva raggiunta. Ed i suoi effetti le si erano mostrati in un unico momento.

Un piccolo sentiero tracciato sull’erba portava verso il centro di quel grande spazio, verso qualcosa di scuro, che Calia raggiunse nel cammino sospeso di ciò che era ormai diventata: una ragazza senza amore, e piena dell’odio che l’aveva portata fino a lì. Una guerriera perfetta. Al centro della radura un pozzo forava il terreno senza voce, completamente ricoperto d’erba e chiuso da un fitto intreccio di radici, che sorgevano come sorelle maggiori dai sottili e lineari fili d’erba. L’intreccio era impenetrabile, e Calia non impiegò più di un istante a comprendere che una nuova sfida avrebbe dovuto affrontare prima di poter confrontarsi con il Male. Il pensiero ebbe la sua orrenda conferma: una schiera senza numero di cinghiali emerse dall’ombra in fondo alla radura, di fronte a lei, ed avanzò tesa con movimenti lenti ma incalzanti, sotto triangoli di luce lunare che scomparivano nel pelo orribile delle bestie. Di nuovo, Calia sorrise mentre l’Odio si infuocava dentro di lei, innalzando la sua energia ad un stato che non accennava ad arrestarsi. Nessuna paura né dubbio toccava la sua anima: la rabbia che aveva scelto di accogliere era pronta ad esplodere. [continua…]

© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati