[…segue] Calia si sentiva sempre più dentro un mondo di allucinazioni che la portava via da una realtà forse altrettanto orribile, ma che lei poteva almeno percepire come vera, e ancora più vera da quando aveva riottenuto la voce e l’udito. Dopo la seconda visione di cui era stata vittima e protagonista nel bosco, nell’incubo di immagini così orribili da farle desiderare una disfatta immediata della sua sfida, continuava sempre più ad essere immersa nel dubbio costante e tagliente di assistere ad un futuro impossibile, al passato, o ad un presente distorto; nulla aveva più senso ed il solo punto di riferimento costante era la radura, il cuore di quel bosco maledetto. La meta.
Calia vacillava così nel significato serpeggiante della nuova visione: di nuovo un Ramon spaventoso, demone di morte contro la sua famiglia. Che cosa aveva da dirle quella orribile fantasia spinta con forza nella sua mente? Concordava ad ogni modo con Garco su un significato certo: la sua rabbia continuava a crescere e ciò indicava con certezza che la strada intrapresa era corretta. Ma questa rabbia, di nuovo, veniva indirizzata contro il suo amato Ramon che, si annebbiò nell’ammetterlo, perdeva sincerità e invulnerabilità per la sua coscienza di amante. Ad ogni metro in più verso la radura, Ramon diventava più indefinito, scuro, inquietante, sporco, misterioso. Calia comprendeva chiaramente che era ciò che il Male voleva farle credere, eppure non riusciva a schermare del tutto la sua mente dalla possibilità che Ramon non fosse chi diceva di essere, e soprattutto non desiderasse solo il suo bene. Non capiva il perché di quel dilaniante pensiero, ma in fondo era da dodici anni che non vedeva quel ragazzo, ed il solo bambino che fu rimaneva nei suoi ricordi annebbiati a difendere la sincerità di Ramon. Dodici anni però erano una vita intera, e cosa fosse accaduto in quella vita Calia non poteva saperlo. Inoltre Garco ad ogni istante non faceva che colpire quella immagine di Ramon che ancora le rimaneva nel cuore, dopo che il suo corpo si era spento per sempre poco tempo prima, in quel bosco maledetto dove lui stesso l’aveva condotta. E poi, potentissimo difensore di Ramon, c’era l’amore appena sbocciato, ed il bacio che lo aveva fatto esplodere.
Quale era la verità, quella del ragazzo condiviso fin dall’infanzia, scoperto nell’amore da poco, e perduto appena questa scoperta le aveva scaldato il corpo e l’anima, il ragazzo grazie al quale era riuscita a rompere le sbarre di una prigione invisibile che la ricopriva da dodici anni, e che aveva iniziato l’unico percorso verso un futuro, che fosse sereno di luce o scuro di tenebre, oppure il suo nemico più crudele, quel Garco che era entrato nella sua vita cavalcando le ali di un orribile sentimento di morte e cattiveria, e che però emergeva sorprendentemente da quella minaccia coincidendo con il bambino che giunse senza memoria e con una tristezza impavida per dichiararle amore a sua volta, il ragazzo che avrebbe forse terminato il percorso iniziato da Ramon? In ogni caso, ormai doveva cominciare a fidarsi di Garco, o almeno a fingere, proseguendo accanto alla sua guida più esperta. La rabbia crescente colorava di nero i suoi sentimenti, portandola oltre le tappe ricercate, verso la radura mortale.
Continuando a camminare ben presto il buio cominciò ad invadere il suo campo visivo. Calia non avrebbe voluto fermarsi, pur sapendo che a breve sarebbe stato inevitabile: una notte nel bosco poteva essere fatale. Eppure non dormiva da due giorni, si sentiva crollare a terra, e non avrebbe resistito ancora per molto. Non un rumore di quelli attesi in un bosco, come da quando entrarono in quel luogo diabolico. Calia si convinse a resistere ancora un poco, e mentre lo fece, gli occhi le si annebbiarono scurendosi sempre più. Per un istante credette di stare perdendo anche la vista, dopo aver avuto indietro gli altri sensi da anni perduti, poi capì che il suo corpo cedeva alla stanchezza, all’angoscia costante, alla tensione, al desiderio di riposo: Calia svenne. L’ultima immagine che vide fu Garco, davanti a lei, che camminava come se non avesse camminato mai in altri luoghi, con la sicurezza e la tranquillità di un indigeno.
Il sogno che ebbe andò oltre le intromissioni delle precedenti visioni nella realtà; il sogno che ebbe dopo che i suoi sensi cedettero superò i confini dell’irreale per colpire direttamente la sua vittima dagli occhi chiusi. Calia vide nel sonno la radura intravista nella visione precedente, negli occhi rossi del cinghiale maligno. Questa volta però la radura era molto più grande, e solo molto lontana si distingueva la macchia verde del bosco. Il cielo era luminoso, libero, sereno. Calia aveva accanto a sé Garco, che per mano la conduceva verso un segno sul terreno. Giungendo sopra quel segno Calia rivide l’Ilmud, la protezione. Quando i loro piedi si posarono su di esso, un tunnel li accolse fin sotto terra, in una grande caverna umida e fredda. Calia si graffiò con delle radici che fuoriuscivano dalle pareti del tunnel. Nella discesa sotto terra le venne in mente un libro che aveva letto da piccola, durante le ore di studio che la comunità fissava per i bambini: parlava di una ragazzina di nome Alice, che proprio attraverso un tunnel nel terreno entrava in un mondo meraviglioso, dove faceva incontri incredibili e indimenticabili con personaggi strani e divertenti. La caverna sotto terra in cui il sogno di Calia la portò era invece tetra, pericolosa, cattiva. Poco i suoi occhi riuscivano a vedere, ma il suo cuore cominciò a battere come il piede del Diavolo, mentre la caverna cominciò ad essere illuminata da decine di occhi rossi che si avvicinavano l’un l’altro fino a divenire un solo, grande occhio rosso. Calia si coprì dall’immensa luce scarlatta che avvolgeva ogni pezzetto di quel mondo sotterraneo. Quando abbassò il braccio e riaprì gli occhi era di nuovo nella radura, cercando Garco e tastando l’Ilmud su terreno per cercare di riaffondare sotto di esso e riprendere per mano la sua guida. D’improvviso una mano uscì da quel terreno, e Calia la riconobbe come quella di Ramon. Fu indecisa se stringerla o meno, ma poi si convinse e la avvolse con la sua. La forza di Ramon la trascinò giù, ma si svegliò prima di sapere cosa sarebbe accaduto.
Era notte inoltrata, e lei si trovava a terra coperta da una maglia logora sopra i suoi pochi abiti. Un fuoco le bruciava accanto, e una figura poco più in là era appoggiata ad un albero, parzialmente in penombra e con il busto nudo. Calia si alzò di colpo terrorizzata, quando si accorse che le fattezza di demone erano di nuovo sul volto di Garco. Urlò di terrore ma, quando lui uscì dalla penombra, il suo viso apparve alla luce del fuoco normale, bello come quello che stava a poco a poco conquistando la sua fiducia.
“Un incubo?”
Le chiese.
“Si, scusami, mi sembrava che continuasse anche quando ho aperto gli occhi”
“È così, Calia. In questo posto i sogni, o meglio gli incubi, hanno il potere di infettare anche la realtà che ci circonda. Anche a me è appena successo”
“Cosa mi è accaduto?”
“Hai perso le forze. È normale, è da troppo tempo che sei in piedi e la tensione ti ha tolto tutta l’energia che avevi. Un altra tappa è stata superata. La settima. Non possiamo sapere quante ancora ne mancano, ma sento che siamo vicini: gli incubi e le visioni stanno aumentando, ed il loro potere anche. Sempre di più riusciranno a introdursi nella realtà, modificandola. È ciò da cui mi hanno messo in guardia con estrema preoccupazione i Tre Saggi.”
“Che vuoi dire?”
Garco le indicò con la testa le sue braccia. Calia abbassò timorosa lo sguardo e non riuscì a trattenere un:
“NO”
quando vide che le braccia erano in gran parte graffiate, con solchi più o meno profondi nella sua pelle, freschi, vivi di sangue ancora sgorgante. Un pezzo del sogno era tornato con lei nella realtà. Se questo evento fosse davvero aumentato di intensità mentre la distanza dalla radura si riduceva, Calia non riuscì a non tremare al pensiero degli effetti di quelle visioni su di lei.
“Non è possibile!”
[continua…]
© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati