XXXV

[…segue] La stanchezza svanì del tutto, e l’energia dentro di sé portò definitivamente Calia fuori da ogni lamento del corpo, proseguendo nel viaggio verso la radura che accresceva in lei la rabbia, mentre si avvicinava in una zona di quel bosco che si staccava da ogni elemento riconoscibile, nuova alla vista abituata ormai a quegli alberi, e che le veniva incontro insieme ad un suono lamentoso che sembrava nascere da lì per morire appena oltrepassata l’area di quella vegetazione sconosciuta, più verde ed esotica di ogni pianta ed albero intorno ad essa, e fitta come un muro. 

Calia si arrestò di fronte ad un’immensa parete di rami e foglie e arbusti, che saliva in alto a chiudere ogni ingresso del corpo e degli occhi. Migliaia di piccoli elementi della vegetazione  si intrecciavano, si perdevano e fondevano per diventare un’unità solida e ferma come il cuore di Calia, indurito ed addormentato verso i sentimenti più leggeri dalla rabbia che continuava ad avvolgerlo come lava rappresa. Non vi era apparente via d’entrata. Calia seguì per un po’ il perimetro di quelle mura verdi, fino a che fu chiaro che la strada non sarebbe stata visibile. Come le aveva detto Garco, gli occhi non avrebbero più avuto una funzione, nella radura: erano gli altri sensi che avrebbero potuto seguire le nuove regole del Male. Sentiva ribollire dentro di sé la nuova energia dello spirito, dell’anima, e del corpo e, mentre combatteva con il desiderio infantile di richiamare altre immagini, sensazioni, rumori della sua vita nella comunità, la vita della sua infanzia troncata con un’esplosione di malvagità umana e sovrannaturale, si concentrava su ciò che aveva compreso di quel mondo nel cui cuore cercava una porta di ingresso. Se dunque il suo movimento più istintivo la faceva tornare indietro, a cercare un falso rifugio nei luoghi passati della sua mente già troppo grande per la sua età, percepiva ancora il doloroso effetto che quel ritorno al passato le aveva gettato addosso, ed insieme percepiva come impellente la necessità di raccogliere eventi e sensazioni di quel breve e profondissimo viaggio nel bosco per individuarne il proseguimento. La sfida era iniziata, la sfida stava per giungere al termine. Mai come in quel momento avrebbe dovuto fare affidamento solo sul suo nuovo essere, guardare avanti invece che sbirciare indietro sperando che volgendo lo sguardo quella parete si sarebbe dissolta. Quei dubbi troppo spesso richiamati dovevano essere avvolti in un ripiegamento della sua mente per lasciare posto al lucido perdersi nelle regole di quel mondo. Lasciarsi guidare dalle sensazioni, piegarsi all’atmosfera nei cui abissi voleva immergersi, smettendo di comprenderne la razionalità, che non esisteva: questo era l’insegnamento che Garco le aveva trasmesso prima di scomparire come tutti coloro che avevano tentato di condividere quella strada di dolore insieme a lei. Doveva essere sola, questo il Male desiderava. Questo il Male avrebbe avuto. 

Calia si avvicinò al groviglio impenetrabile che le era di fronte, sotteso ed alimentato dal lamentoso e cupo suono del suo vivere. Non riusciva a vedere nulla al di là di esso. Non un sottile raggio di luce, un colore, una forma. In quella notte profondissima che doveva stare per finire ed invece non sembrava schiarirsi, il muro di piante si stagliava come la fine di tutto. Allungò una mano decisa verso quel mostro inanimato, e subito una fitta la fece ritrarre: una spina aveva lacerato il suo palmo, ed il sangue prese a colare sul terreno in lamentoso ascolto. Sentiva l’energia interna crescere ogni istante di più: avrebbe potuto abbattere un albero, o uccidere un cinghiale con una mano. Lo sentiva nello scorrere della sua sovrannaturale corrente linfatica. Eppure una semplice spina di quel muro di piante aveva violato la sua invulnerabilità. A nulla serviva il suo nuovo potere contro il cuore che quel potere le donava. Forse uno scherno, un sadico gioco, o forse non era quella l’azione che le veniva richiesta. 

Camminò avanti ed indietro, riflettendo e subito smettendo di farlo, desiderando non pensare a nulla eppure pensando di farlo, vanificando tutto. Non guardare, sentire. E se anche le sensazioni avessero potuto essere menzognere? Il Male guidava per uccidere. Eppure Garco le aveva detto di guardare attraverso le sue sensazioni; e Calia non era ancora scomparsa, né morta. Il Male la voleva, la chiamava, la sfidava prima di tutto a raggiungerlo, forse per ucciderla poi, ma a quel punto non importava. Calia doveva giungere alla radura, ma le veniva richiesto qualcosa che non comprendeva. Sapeva di essere vicina alla soluzione per penetrare quel muro. Ascoltare, non guardare. Ma come, cosa? Non riusciva a rinunciare alla vista. E se Garco avesse mentito? No, aveva rischiato troppo per lei. Allora era Ramon il suo nemico, l’emissario del Male. Ramon, il suo amico di infanzia, l’unico che avesse amato oltre la sua famiglia. Eppure anche lui aveva rischiato molto. Ramon l’aveva tradita nel modo più orribile, cercando di vendere la sua vita per un riscatto della sua vigliaccheria, e fingendosi invece un eroe? Si guardava intorno rapida, cercando qualcosa, ascoltando il lento fiume del rumore della radura, sentendo l’Ilmud dietro di lei prudere, infuocarsi, vivere, chiamarla. La sua rabbia cresceva vorticosamente, si nutriva di se stessa, nutriva il corpo di Calia, la potenziava. Quella rabbia gridava. Non riuscì a contenerla. Improvvisamente quell’ urlo precipitò fuori dalla sua bocca da poco non più muta, e squarciò il velo malefico del bosco, sovrastandone il lamento; Calia si scagliò contro un albero abbattendolo con le sole mani come fosse stato un fuscello, pregna di odio ed impotenza. L’albero capitolò su altri alberi, ma non ci fu fragore. Mesti e muti, gli alberi rovinarono a terra obbedienti alla sua potenza. Oltre il suo urlo, solo il suono cupo viveva nel bosco. Calia tremava e disperdeva la sua incapacità in sguardi pesanti e rapidi su quella prigione verde, finché vide i suoi genitori. 

Si fermò come il suo respiro, e nell’istante di quella disperazione cercò la forza per non raggiungerli, sapendo che non potevano essere reali, ma non riuscì a resistere. Si avvicinò al loro sorriso, identico a quello che ricordava nei giorni di sole, quando il loro amore pareva concretizzarsi in una linea rosa visibile in controluce che univa loro ed i piccoli Calia e Codi. Le tendevano le braccia, la guardavano toccando la bambina che rimaneva in lei. Calia li raggiunse mentre le lacrime cadevano sul terreno e, colma di commozione, li abbracciò sperando che tutto scomparisse, desiderando più di ogni cosa di sconfiggere il Male con quel semplice gesto d’amore. Allungò le sue braccia verso di loro, ma i suoi genitori volsero lo sguardo, che lei seguì. Più a destra Ramon li guardava minaccioso, spezzando la sensazione di serenità che per un attimo la accarezzò. La rabbia prese a ribollire dentro di lei.

“Cosa vuoi da noi. Va’ via, lasciaci in pace. Non sei tu, e se fossi davvero tu non sarei più felice. Maledetto bugiardo!”

“Calia, io ti amo”

Disse Ramon senza tono, come fosse un semplice saluto.

“VA VIA, SONO CONTENTA CHE TU SIA MORTO, SEI TU LA CAUSA DI TUTTO!!”

Calia fece per attaccarlo, ma vide i suoi genitori scappare terrorizzati da Ramon. Allora li seguì. In quel momento l’unica immagine che poteva rassicurarla era quella della sua famiglia, nulla contava di più. I due correvano più veloci di quanto lei riuscisse a fare, nonostante la sua nuova energia. E dopo poco scomparvero nel buio. Calia urlò, corse, guardò. Ma non erano più lì. Più indietro, Ramon continuava a guardarla. Calia lasciò fluire liberamente il suo odio, e in un istante, come una saetta, fu su di lui. Lo colpì con tutta la forza che aveva e, come se avesse colpito del fumo, la leggerissima resistenza che il suo corpo inesistente sembrò opporle dissolse la sua immagine in migliaia di pulviscoli. Ramon scomparve. In quel momento il suono del terreno, il lamento diabolico di quel luogo infernale, cominciò ad aumentare, ad intensificarsi, ad avvolgere ogni vita del bosco come un potente abbraccio nero.

Calia si lasciò cadere a terra. Tutta l’energia che sentiva dentro di sé nulla poteva con i fantasmi che il Male le poneva di fronte. Eppure c’era un senso in quello che accadeva: Calia sentiva che ogni accadimento era un segnale del Male per indicarle la strada. L’Ilmud, la morte di Ramon, la protezione e la scomparsa di Garco, la rabbia trasformata in energia e potenza sovrumane, le visioni, il lamento della radura. Quel lamento che era urlo. Cosa il Male voleva che lei facesse?   

“Il Male conduce la tua strada, Calia, ma puoi imparare a portarlo a tuo vantaggio.”

Calia alzò gli occhi da terra: di fronte alla parete vegetale Gesua, l’Anziano che Garco diceva averlo accompagnato e che lei e Ramon avevano visto morto con il corpo stravolto su un ramo, la fissava.

“Tu sei Gesua!”

“Calia, ti chiedo scusa a nome di tutti noi. Non meriti questo”

Gesua parlava con una strana eco che ne sdoppiava la voce, nel caos di quel lamento imperante. Calia comprese subito di guardare qualcosa che non esisteva. Fissò i suoi occhi vibranti di energia su di lui e gli urlò:

“Come posso entrare?”

La visione tremò come fosse una fiamma scossa dal vento, ma non scomparve. Le rispose:

“Accetta dentro di te il suo aiuto: lui può ancora fare qualcosa per te, e non soccomberà prima di aver rimediato all’errore della comunità”

Detto ciò scomparve. Al suo posto Garco la fissava con un volto privo di espressione.

Calia sentì ribollire tra le vene la rabbia, mista ad una speranza che quel giovane aveva il potere comunque di alimentare. In fondo sembrava essere l’unico dalla sua parte. 

“Garco, che ti è accaduto, perché sei scomparso?”

Garco fece qualche passo verso di lei, ma rimase a distanza. Il lamento arrivò a diventare tempesta di suono.

“Non dipende da me. Sono stato prelevato. Il Male mi tiene con sé alla radura. Ti chiedo scusa per non essere stato all’altezza di ciò che mi ero imposto. Io non sono qui. Il mio corpo ti aspetta alla radura. I Tre Anziani mi hanno insegnato a spostare la mia anima. Ed ora sono di nuovo con te, per tentare di guidarti ed esserti vicino, sebbene non fisicamente. ”

“Dimmi cosa c’è alla radura”

“Il Male, Calia, in tutto il suo orrore. Non pensavo di poter essere sopraffatto, ma contro di Lui non c’è modo di vincere. Tu però puoi farlo, Calia, solo tu sei in grado. Perché sei stata scelta per affrontarlo. Ascolta la tua rabbia. Usala. Controllala, fatti sussurrare cosa vuole. Lei parla per bocca del Male.”

“La mia famiglia… è lì?”

“Non lo so, Calia, qui sono solo, e non credo di poter resistere ancora per molto. Devi fare presto! La mia visione non è provocata dal Male, e potrei dissolvermi da un momento all’altro. Ascoltami bene: la radura è dietro questo muro, ma per raggiungerla dovrai sacrificare una parte di te.”

Calia ascoltò con attenzione le parole della parte incorporea di Garco, mentre il lamento tempestoso li incalzava sempre più. Non si accorse di ringraziarlo dentro di sé per esserle ancora accanto, nonostante fosse stato sopraffatto dal Male. La sua tenacia le riscaldava il cuore. Era vero: lui le aveva permesso di arrivare fin là, ed ora le stava per confidare il segreto per penetrare nella radura. Garco, tempestato dal rumore infernale che ormai riempiva ogni particella di quel luogo, le rivelò l’ultimo sacrificio per raggiungere il nucleo del Male, e quel cuore appena scaldato si congelò:

“I ricordi felici della tua infanzia, Calia, dovrai donarli al Male perché Lui ti mostri l’entrata alla radura.”

[continua…]

© Andrea Orlando – 2012 – Tutti i diritti riservati