Era la notte più buia che avesse mai visto, anche più nera di quella parete che era un’installazione artistica chiamata “morte al tramonto” nel quartiere Soho di New York. La aveva vista ormai dieci anni prima, e ancora non riusciva a dimenticarla, indeciso se classificarla come cazzata d’autore, o genialità parzialmente incompresa. Camminava da dieci minuti verso casa, ma non ricordava esattamente di aver mai fatto quella strada. La scelta di una casa fuori città, in quella zona di montagna che molti chiamavano “la scarpa” per la forma della cima principale, era una sfida alle comodità, alle convezioni, e a tutti gli amici e familiari che gli avevano pronosticato noia, ansia, e infine pentimento per essere andato a vivere così lontano dalla città. Dalle sue possibilità, dalle sue disarmonie confortanti, dalle sue tonalità scandite. Era deciso a disattendere ognuna di queste previsioni, e magari anche a far nascere un po’ di invidia per la sua scelta difficile, per alcuni estrema ma infine, credeva, rappacificante. Da una settimana era lì e nessun rimorso lo aveva neanche accarezzato con dita fredde o guardato con sorrisi storti. Credeva di aver fatto la scelta giusta, e voleva confermarlo a se stesso e agli altri, anche se in profondità qualche dubbio e qualche sottile paura la aveva. Comunque il lavoro poteva benissimo continuarlo da lì, e la città con la sua presunta civiltà era solo a un’ora di auto. Sarebbe stato bene, lo sentiva. Lo voleva. Però doveva ancora imparare bene la strada per casa, raggiungibile con una breve camminata nel bosco. Era la seconda volta che ci andava con il buio, che era così profondo intorno a lui che la luce del cellulare riusciva a morderlo solo per pochi centimetri. Ricordava chiaramente i segni che il bosco mostrava per chi sapeva vedere, e lui stava scoprendo chiaramente che senza luce quei segni erano davvero difficili da trovare.
Dopo circa venti minuti, il doppio rispetto al tempo di arrivo dalla strada principale a casa sua, capì di essersi perso, e insieme ad un’improvvisa stanchezza, insieme ad un accenno di paura sferzante, sentiva anche le voci degli amici che gli ridevano addosso. Fu pronto e deciso nello scacciare tutto ciò e cominciò a ragionare. Aprí le mappe dal telefono, ma c’era solo un pallino blu in mezzo allo schermo, provò a chiamare l’agente immobiliare che gli aveva venduto quell’“oasi di pace in mezzo al bosco”, ma non c’era campo. Decise di tornare indietro cercando qualche segno tra la vegetazione che potesse fargli ritrovare il sentiero. Dopo altri dieci minuti, sentì che il termine “perso” si stava decisamente avvinghiando a quella situazione. Si fermò a riflettere nuovamente, si decise a dirsi che non c’era niente di preoccupante, che in fondo era un piccolo bosco appena fuori città, e che in qualche modo ne sarebbe uscito. Camminò, camminò ancora, e ancora, finché non fu stanco davvero, e si dovette sedere, sudato e preoccupato, sulle radici di un grosso albero. Il telefono aveva ormai poca autonomia residua, e il freddo era evidente. Cominciò ad urlare, a chiamare, a richiamare. Corse un po’, si sedette di nuovo, respirò per recuperare ossigeno, e infine si addormentò sul terreno umido. Che tempo é quello del sonno? Che regole ha? Perché passa ma non passa, o passa rapido come un meteorite arrabbiato? Chiedendosi tutto ciò in quello strano sonno, si svegliò improvvisamente mentre stringeva in mano qualcosa che gli faceva male. Si guardò la mano, e non la vide. Il telefono si era spento, ed il buio era totale, sembrava aver inghiottito ogni atomo di luce possibile. Cercò di capire cosa avesse tra le dita, ma sentendolo acuminato lo lasciò cadere. Si alzò sempre più spaventato, la fronte era dolorante. La toccò, e sentì un liquido caldo e denso. Sangue? Ora non sentiva più le voci denigranti di chi lo aveva avvisato di non fare quel gesto da hippie stonato, ora sentì una voce profonda e minacciosa dirgli: “inginocchiati e donami il tuo sangue”. Visse un attimo di terrore così potente e totale che rimase immobile, mentre sentiva e non sentiva il liquido denso scorrergli sugli occhi. Voleva con tutte le sue forze qualcosa, ma era troppo terrorizzato per capire cosa, e quando un ramo si ruppe davanti a sé tutta quell’energia compressa e nera esplose in una corsa sovrumana lontana da quell’incubo. Inciampò, sbatté, cadde, si rialzò, finché la speranza morì; ma prima di spegnersi del tutto lo portò sul sentiero della sua nuova casa. Incredulo, annientato, stanco, si avvicinò a passi lenti verso la piccola luce sopra la porta di ingresso. La aprí e crolló sul pavimento mentre richiudeva la porta con una inerzia distaccata da lui. Gli occhi si chiusero istantaneamente, morendo di tensione. Una voce squillante e fastidiosa disse: “Ok per oggi basta così”. Riaprí gli occhi e si vide riflesso in uno specchio, con le lenti da simulazione che gli abbracciavano le retine e proseguivano indietro circondando tutta la parte superiore del viso e della testa, a completare l’effetto immersivo. “Com’é andata stavolta?”. Chiese la voce squillante. “Decisamente meglio”, rispose ancora sfasato. “Questa volta le sensazioni erano più reali e la voce meno metallica”. “Bene, allora proseguiamo su questa strada”. “Direi di sì, mi sono cacato addosso dalla paura!”. “Perfetto, stasera offro io allora”. “Come minimo, ancora mi sento le contrazioni su tutto il corpo per la tensione!”. “Vabbè quello é perché dobbiamo tarare le lenti sotto i livelli limite”. “Eh, ma intanto ci ho rimesso io”. “Certo che ci hai rimesso, sei il creatore del gioco, chi dovrebbe sperimentare?”. “Sto seriamente pensando di pagare qualche tester”. “Ti ricordo che non abbiamo soldi”. “Va bene, ma dobbiamo ridurre i test allora, e stasera offri comunque tu”. “Ti ricordo che mancano tre settimane alla consegna”. “Ok, ok, ma toglimi questa roba intanto, ora voglio solo tornare nella realtà”. “Non é una buona premessa sai?”. “Fanculo, la prossima volta vacci tu in quel bosco del cazzo con Satana che ti parla”. “Ti ricordo che quello é un demone, non Satana”. “Come vuoi, ma liberami!”. “D’accordo, ecco qui”. Mentre sentiva rimuovere la fascia lenticolare dalla sua testa e tornare gradualmente al mondo reale si accorse di avere qualcosa in mano. Lo strinse. Era acuminato. Era avverso. Era vero.
© Andrea Orlando – 2025 – Audiolettura ⬇️